Cultura

‘Hip Hop Family Tree’, le nostre radici. A fumetti

In effetti ero molto incredulo quando lessi per la prima volta che sarebbe stata Panini la casa editrice dell’edizione italiana di Hip Hop Family Tree. Certo, si parla (soprattutto) di rap, il genere musicale più amato dai giovani, ma non certo di quel rap usa e getta che passano le radio oggi: il capolavoro di Ed Piskor ripercorre i primissimi anni di diffusione di questa cultura, i ’70, l’epopea dei block party quando i dj montavano l’impianto agli angoli delle strade di New York e lo attaccavano illegalmente ai cavi elettrici dei lampioni.

Una storia che ci si immaginerebbe nel catalogo di un editore underground, e non in quello di un gigante del fumetto quale appunto la casa di Modena. Tutto ciò alimentava i miei dubbi: che scelte di posizionamento faranno? Come renderanno in italiano l’intraducibile slang del Bronx? Useranno il volto di qualche rapper conosciuto al nostro pubblico per conquistare il giovane lettore che non ha la minima idea di chi sia Grand Wizard Theodore?

Devo dire che il risultato finale, fortunatamente, ha fugato i miei dubbi e che – per una volta – ci troviamo di fronte ad un prodotto editoriale originale, non edulcorato, e tradotto nella nostra lingua senza scimmiottare i modi di dire d’oltreoceano. Scelta vincente quella di affidare l’adattamento ad Antonio Solinas, già blogger e giornalista musicale esperto di Hip-Hop, che utilizza uno stile pulito e abbastanza generalista, ma filologicamente fedele nei confronti dell’originale.

L’edizione italiana arriva nei negozi proprio in questi giorni. La resa grafica è molto bella: il volume è grande (33×23 cm), tutto a colori, disegnato con uno stile che ricorda molto da vicino quello dei flyer originali degli stessi block party. L’effetto vintage è accentuato dallo sfondo “invecchiato” delle pagine, come se avessimo in mano una raccolta di fanzine di quegli anni. Quasi ogni pagina racchiude un dettaglio nascosto, un easter egg per l’esperto o il lettore attento. Se volete farvi un’idea più precisa, le strisce originali sono state pubblicate (ovviamente in inglese) sul sito Boing Boing.

Hip Hop Family Tree si è guadagnato l’apprezzamento unanime da parte della scena statunitense, ed onestamente anche il mio. I pionieri di questa cultura non sono disegnati come supereroi: forse non è il caso di scomodare il termine di “intellettuale organico” ma sicuramente l’epos è collettivo; l’Hip-Hop è (giustamente) inquadrato come un movimento e non come una somma algebrica di personaggi. Particolarmente significativo il passaggio in cui i dj di Midtown Manhattan – il centro di New York – non si accorgono nemmeno che sta nascendo questo genere musicale, perché è legato alle periferie – e al loro disagio sociale – che per loro sono praticamente su un altro pianeta. Due mondi separati anche perché, dall’altro lato, gli hip-hopper del Bronx non hanno mai i soldi per frequentare i club del centro…

Sicuramente Hhft interesserà all’old schooler ed al collezionista, ma da parte mia mi sentirei di consigliarlo in particolar modo ai ragazzi che cominciano oggi ad avvicinarsi alle rime, allo scratch (turntablism), ai graffiti (writing) o alla break dance (b-boying). Fortunatamente l’albero dell’Hip-Hop ha radici salde e profonde.