Mafie

Mafia a Roma, dopo le inchieste si sveglia anche la politica. E Renzi manda Gabrielli

Già prima di "Mondo di mezzo" - di cui si attendono sviluppi a breve - diverse inchieste svelavano l'esistenza di organizzazioni mafiose in rapporti con la pubblica amministrazione. A partire dal litorale di Ostia, dove recentemente si è dimisso il "minisindaco" Tassone e il Pd è stato commissariato. E Renzi nomina prefetto l'ex capo di servizi segreti

Mafie tradizionali che si insediano sul territorio romano e mafie autoctone che camminano su due binari paralleli che spesso finiscono per convergere. La Capitale trema e la politica traballa interrogandosi sulle proprie mancanze o, peggio, sulle connivenze e gli affari con la criminalità organizzata di alcuni suoi esponenti. Prima l’operazione Nuova Alba che ha decapitato la mafia sul litorale romano, poi Tramonto che ha svelato la struttura imprenditoriale delle cosche di Ostia ed infine l’indagine Mondo di Mezzo che ha travolto Campidoglio e Regione Lazio, descrivendo una classe politica, di destra e di sinistra, asservita ai boss locali. E ora Roma barcolla, anche perché la sensazione è che potrebbero esserci nuovi sviluppi giudiziari accompagnati da ulteriori arresti eccellenti.

La politica, seppur con una tempistica che appare tardiva, ha iniziato a prendere le sue contromisure. Il commissariamento del Pd capitolino con l’azzeramento dei vertici, affidato al presidente del partito Matteo Orfini, Alfonso Sabella, ex magistrato, nominato assessore alla Trasparenza di Roma Capitale, il senatore democratico Stefano Esposito commissario dem a Ostia e le dimissioni di Andrea Tassone, presidente del municipio che amministra il litorale romano. Un segnale di resa del minisindaco di Ostia che ha denunciato di non avere gli strumenti per contrastare la mafia, “sono troppo forti le pressioni della criminalità”, ha dichiarato laconicamente lo scorso 18 marzo. Infine l’azione più significativa che parte direttamente dal premier Renzi: la nomina di Franco Gabrielli alla Prefettura di Roma. La designazione dell’ex capo della protezione civile, già capo della Digos di Roma, poi del Sisde, il servizio segreto civile italiano oggi denominato Aisi, è il segnale più forte del Governo nazionale su un fenomeno corruttivo che sembra ancora non essere emerso appieno per la sua drammatica realtà. E l’indagine capitolina Nuova Alba che nel luglio 2013 aveva fatto scattare 51 misure cautelari per associazione mafiosa, è già arrivata a sentenza. A gennaio scorso per la prima volta è stata riconosciuta l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso a Roma, con le condanne in primo grado per il capoclan Carmine Fasciani e per i suoi sodali. Oltre 200 anni di condanna per la mafia di Ostia.

Una magistratura che sembra andare ad una velocità maggiore della politica che “in questi anni si è seduta nella gestione amministrativa e si è rinchiusa nel palazzo”, ammette il senatore Esposito. “La giunta del municipio di Ostia – prosegue il senatore Pd – è stata un po’ lasciata sola dal Campidoglio. La rotazione dei dirigenti in quegli uffici era necessaria fin da subito”. Una politica assente che in parte, secondo Esposito, è anche la causa di una mancata reazione da parte dell’imprenditoria locale: “Ostia è uno dei territori – conclude – in cui c’è un numero di denunce per richiesta di pizzo, usura o minacce, da parte della criminalità organizzata più basso che io abbia mai visto. Mi aspetterei dalle associazioni imprenditoriali o dai balneari un po’ meno di reticenza”.

E se la politica fino ad ora sembra essersi voltata dall’altra parte, adesso l’atteggiamento appare cambiato. Il sindaco capitolino, Ignazio Marino, ha deciso di non delegare a un commissario, dopo le dimissioni del presidente Tassone, l’amministrazione di Ostia ma di assumere egli stesso pieni poteri nel municipio che governa il litorale romano: “Ostia è una parte della città importante – ha sottolineato – e proprio per questo io intendo assumere i poteri del municipio in prima persona e dimostrare con azioni importanti, decise ed eclatanti, che stiamo facendo sul serio”. Prima la magistratura e poi la politica hanno finalmente preso atto della gravità della situazione nella quale i confini fra cosche, imprenditoria e politica si assottigliano fino a confondersi. Una situazione, quella della malavita romana, che il pg Otello Lupacchini, ex giudice istruttore che firmò il mandato di cattura per i componenti della Banda della Magliana, conosce molto bene. “Che la mafia sia presente nella Capitale – spiega Lupacchini – sono decenni che lo dico ed il passato stesso ce lo dimostra. La mia paura è che il 416 bis, previsto per punire il reato di associazione mafiosa, non sia adeguato e non copra i nuovi tipi di associazionismo criminale che si sono palesati con le ultime inchieste che hanno portato alla luce una criminalità organizzata che fa affari senza bisogno di intimidazioni o delitti efferati”.