Politica

Forza Italia, lascia anche il “fedelissimo” Bondi: passa al gruppo misto

Per anni è stato collaboratore (e compositore) “innamorato” di Berlusconi. Il rapporto si è incrinato con l’ascesa verdiniana. Ora, con la compagna Manuela Repetti, molla gli azzurri e va nel gruppo misto

Gli dicevano: Berlusconi l’ha scelta come ministro solo perché è fedele. Lui non rispondeva, forse lo prendeva per un complimento. Ora anche lui, il più energico dei pretoriani del Cavaliere, votato fino all’estremo negli anni dello scontro totale con il centrosinistra, in tv, contro la magistratura, abbandona il suo leader. Il partito è al “si salvi chi può”, dopo i suoi tanti appelli a salvare il salvabile, e se ne va anche lui, il “fedelissimo”, il bodyguard, il giapponese, quello che “sempre con Berlusconi”, il “poeta” di Vita assaporata / Vita preceduta / Vita inseguita / Vita amata dedicata proprio a lui, A Silvio. Sandro Bondi lascia il gruppo di Forza Italia al Senato tenendo per mano la compagna Manuela Repetti, pure lei senatrice. Ora dirà, come ha già fatto altre volte che in realtà non tradirà mai Berlusconi, che gli vuole bene, ma che questo partito da fratelli serpenti non è più il suo, che “il centrodestra è senza futuro”. Ma resta che è la fine di una storia, di un mondo: fu lui a guidare la stesura di Una storia italiana, il pamphlettino della trionfale campagna elettorale di Berlusconi nel 2001, quella del quasi-cappotto contro Rutelli. Un’uscita di scena che diventa la firma sul certificato di coma del partito, nel quale ormai è arrivato a imbufalirsi perfino Paolo Romani: “Siamo divisi e litigiosi – ha detto tre giorni fa – Siamo riconosciuti solo per i litigi. I peggiori di noi vanno in tv solo per dire stupidaggini. Dalle intransigenze stile Brunetta alla melassa a cui appartengo”. 

A Silvio
Vita assaporata
Vita preceduta
Vita inseguita
Vita amata.
Vita vitale
Vita ritrovata
Vita splendente
Vita disvelata
Vita nova 

E nessuno potrà dire che non l’aveva detto. Il travaglio di Bondi è stato lunghissimo, un’agonia. Sarà la centesima volta che Bondi “lascia” qualcosa. Prima da ministro della Cultura – per vari motivi tra cui i crolli a Pompei – ma poi da coordinatore nazionale del Pdl, per due volte dopo varie batoste elettorali alle amministrative (e per due volte Berlusconi respinse le dimissioni). Infine da amministratore del partito. Molti tra i berlusconiani non avrebbero mai pensato che un giorno avrebbero rimpianto proprio lui. Dopo di lui è diventato ministro della Cultura Giancarlo Galan, che in futuro (cioè proprio in questi mesi) riuscirà nell’impresa di presiedere la commissione Cultura di Montecitorio dagli arresti domiciliari dopo aver patteggiato la pena nell’inchiesta sul Mose. Dopo di lui è diventato timoniere Denis Verdini e si è arrivati al patto del Nazareno e al presunto “appiattimento” su quello che vuole Renzi (l’accusa è della dissidenza interna). Dopo di lui è diventata amministratrice di Forza Italia Maria Rosaria Rossi, quella che qualcuno con sprezzo ha ribattezzato “la badante”, con le casse in profondo rosso e il partito del milione di posti di lavoro che ha dovuto licenziare i propri dipendenti. 

Bondi – e quindi anche il suo addio – non è un simbolo, è un’icona di Forza Italia. Ha incarnato per anni non la stima, non la collaborazione, ma “l’amore” per Berlusconi; ha rappresentato per un decennio l’immagine di chi “ci ha creduto”, di chi sbandierava il tricolore con sopra quello slogan da stadio e cantava “ché siamo tantissimi”; non sapeva scegliere tra la famiglia e il caro leader. Per lui il presidente era “candore e purezza”. Arrivò a chiamare Rosa Bossi, la mamma del Capo, “madre di Dio”.

A Rosa Bossi in Berlusconi
Mani dello spirito.
Anima trasfusa.
Abbraccio d’amore
Madre di Dio

E’ stato perfetto, nella parte, anche perché convertito, un San Paolo sulla via di Arcore: l’ex sindaco comunista, per giunta toscano, che diventa alfiere, insieme a quello che chiamava “dottore” e non ancora “presidente”, della “rivoluzione liberale” poi mai arrivata. Aveva una paura fottuta di andare in aereo eppure per Berlusconi era pronto a prenderlo. A un certo punto dicevano che nel famoso mausoleo di Villa San Martino ci fosse già un posto per lui: ancora una volta si schermì, “me andrò dov’è la mia famiglia, sulle Alpi Apuane”. E’ fedele, ma non Emilio Fede. Ora che tutti lì intorno si prendono a cannonate per un posto al sole nel Dopo-B, lui preferisce togliere il disturbo. Ha combattuto fino alla fine al fianco del presidente, l’ultima partita – estenuante – l’ha persa con la decadenza da senatore di Berlusconi, che definì “un colpo di Stato”. Per mesi aveva affrontato a muso duro Giorgio Napolitano perché – diceva il senatore-poeta – non aveva intenzione di concedere la grazia al Capo condannato: “Si assume una grande responsabilità di fronte alla storia e al futuro dell’Italia”.

A Fabrizio Cicchitto
Viviamo insieme

questa irripetibile esperienza
con passione politica
autentica
con animo casto
e con la sorpresa
dell’amicizia.
Ci mancheremo
quando verrà il tempo nuovo
e ci rispecchieremo finalmente
l’un nell’altro.
E ci mancherà
anche quello che non
abbiamo vissuto assieme
fra i banchi della scuola
nell’adolescenza inquieta
e nell’età in cui non si ama.
La mia fede
è la tenerezza dei tuoi sguardi.
La tua fede
è nelle parole che cerco.

Ormai sono passati quasi 10 anni da quando decise di fare uno sciopero della fame – come se fosse Pannella o Giachetti – contro la riforma delle tv che il governo Prodi stava per imbastire. Gian Antonio Stella, in quell’occasione, ricordò sul Corriere di quando chiesero a Bondi cosa sarebbe stato disposto a fare per Berlusconi “Rispose: ‘Andare in carcere’. ‘Al posto suo?’, insistettero. ‘Non solo al posto suo’, si immolò: ‘Andrei in carcere per lui'”. E, ricordò sempre Stella, Sabina Negri, ex di Calderoli, lo timbrò così: “Sono sicura che se rinascesse vorrebbe essere Veronica”.

Piano piano riuscì a conquistare la fiducia del presidente che ricambiò. Finì la stagione televisiva di Elio Vito, cominciò quella di Sandro Bondi, nonostante le prese in giro sullo stile (la somiglianza con Massimo Boldi, il tono di voce da parroco), sull’amore incondizionato e sulla difesa anche di quello che sembrava indifendibile. Una volta disse che Prodi alimentava “non solo la divisione e la contrapposizione politica, al limite della guerra civile, ma ancor di più un odio antropologico e razziale nei confronti di chi non la pensa come lui, come più della metà degli italiani”. Odio. Prodi. “Il centrosinistra ha dato vita nel nostro Paese ad una campagna permanente di diffamazione contro Silvio Berlusconi. Alla fine di questo processo non rimane nulla se non un distillato di odio contro l’avversario politico” scandì nel 2010. Bondi era quello.

L’ex sindaco di Fivizzano arrivò al governo ai Beni culturali, in quota poeti, ma andò malissimo. Prima il premio alla mostra del cinema di Venezia per l’attrice Michelle Bonev. Poi i crolli alla Domus dei gladiatori a Pompei. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima. E il Parlamento respinse anche la mozione di sfiducia, ma lui si dimise lo stesso. “Mi hanno lasciato solo” disse. Pochi giorni prima Marcello Veneziani sul Giornale aveva scritto: “Sandro Bondi si taglia con un grissi­no. È tenero e liscio come un tonno, non sopporta gli urti, è fragile e forse te­me pure l’umidità. Facile al pianto, più facile alla poesia, non fa parte né dei fal­chi né delle colombe berlusconiane ma degli usignoli. Sibila lodi in onore del Santo Cavaliere, dedica liriche e diti­rambi al suo Mito, e nei rapporti umani ha una naturale, affabile cortesia che lo rende sempre ossequioso”. Come se non bastasse, pure le polemiche sul figlio della Repetti che aveva avuto una collaborazione con il suo ministero: “Il Centro sperimentale di Cinematografia è una fondazione – lo difese lei – Lo ha trovato da solo. Sandro non c’entra”.

Poi, finita la stagione di Bondi, iniziò quella di Brunetta. Lui, Sandro, capì tutto quando cominciò a non capire più. Nella disperazione di potersi salvare dalla decadenza, Berlusconi riuscì a cambiare idea più volte nello stesso giorno sulla fiducia al governo Letta. E così fu tragicomico vedere Bondi, dal suo seggio, gridare con voce rotta contro il nipote di Gianni a cui aveva dedicato un poema dei suoi: “Ipocrita”, “Vergognatevi”. Poche ore dopo il suo capo annunciò “non senza travaglio interiore” il sostegno all’esecutivo delle larghe intese.