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Quantitative easing, l’ottimismo obbligatorio di Mario Draghi

Adesso tutti diranno che Mario Draghi è ottimista, che la Bce “promuove l’Italia”, che finalmente si vede qualche segnale di speranza. Tutto vero, ma sono verità da maneggiare con cautela. “Ogni Paese ha una sua lista di riforme, ma riconducibili tutte a tre categorie: completamento del mercato interno; creazione di un ambiente propizio all’impresa, con bassa imposizione fiscale; riformare il lavoro. Ci sono Paesi come Spagna e Italia dove sono stati fatti progressi”, ha detto ieri Draghi davanti al Parlamento europeo. E ha anche assicurato che “siamo più fiduciosi di 3-4 mesi fa, la politica monetaria si sta trasmettendo all’economia reale e ci sono diversi segnali come la ripresa del flusso del credito alle piccole e medie imprese”. E, tranquilli, non c’è alcun rischio di bolla finanziaria nel mercato obbligazionario, assicura il presidente dell’Eurotower.  

La domanda legittima è se sia cambiato il mondo o sia cambiato Draghi. La risposta è che sono entrambi diversi. Rispetto a “3-4 mesi fa”, l’orizzonte temporale indicato dal banchiere centrale, la novità più rilevante è stata la partenza del Quantitative easing della Bce. Cioè il piano per comprare 1140 miliardi di titoli, in gran parte di debito pubblico, sul mercato. Secondo i dati diffusi ieri, nelle prime due settimane di intervento l’istituto di Francoforte si è fatto carico di 26,3 miliardi di euro, in gran parte proprio debito pubblico. L’altra grande novità è l’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro, conseguenza anche questa del Quantitative easing europeo e della fine di quello americano, con la Federal Reserve che sta lasciando intendere di essere pronta ad aumentare i tassi a giugno, per la prima volta dall’inizio della crisi finanziaria.  

Insomma: Draghi è diventato ottimista perché Draghi ha fatto qualcosa. Non si tratta di presunzione – anche se il presidente della Bce è certo consapevole del proprio ruolo – ma di un atteggiamento obbligato, così come obbligata è la previsione di un’inflazione di nuovo normale, cioè al 2 per cento, a fine 2016. Lo scopo principale del Quantitative easing è influenzare le aspettative a medio termine degli investitori, chiarendo che per oltre un anno i tassi non saliranno. E che conviene investire su titoli diversi da quelli di Stato, il cui rendimento è depresso dagli acquisti Bce. Quindi Draghi deve predicare ripresa. Altrimenti sarebbe come ammettere di aver adottato misure sbagliate e insufficienti.

“L’equivalente economico dell’essere famosi per essere famosi è l’idea di un aumento della fiducia per merito di una politica il cui principale strumento di trasmissione è la fiducia”, ha scritto ieri sul Financial Times il sempre scettico Wolfgang Münchau. Se vi siete un po’ persi, poco importa: quel che conta è che vi resti una certa sensazione di benessere, l’impressione che le cose stanno andando meglio, anche se non sapete esattamente spiegare perché. È questo che significa agire sulle aspettative. Niente di male, è il mestiere dei banchieri centrali.  

L’importante è non vedere in queste parole più di quello che sono. Una componente di una politica più ampia che, come ha sempre ripetuto Draghi, esaurisce o quasi le armi a disposizione di una banca centrale. Se i politici si rilassano, cullati dall’ottimismo predicato dalla Bce, l’effetto annuncio finirà presto. E il risveglio sarà doloroso.  

Twitter @stefanofeltri

Il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2015