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Sanità, Unipol torna alla carica sui fondi integrativi con partecipazione enti locali

Durante un convegno sul welfare aziendale e contrattuale il gruppo assicurativo rilancia la vecchia idea di coinvolgere Regioni e altri enti territoriali nel settore dell'assistenza complementare al Ssn: "Potrebbero fornire tutele a disoccupati e pensionati che non hanno accesso ai fondi di categoria"

Unipol torna alla carica sui fondi sanitari integrativi aperti gestiti con la partecipazione degli enti locali. Proponendoli come la soluzione ideale per pensionati e disoccupati, che per definizione non possono iscriversi ai fondi chiusi riservati a chi appartiene a una certa categoria professionale o lavora in una determinata azienda. “Un fondo territoriale, attraverso gli strumenti fiscali e contrattuali disponibili, potrebbe fornire tutele a questi soggetti e garantire le prestazioni sanitarie integrative come odontoiatria, riabilitazione, fisioterapia, assistenza per la non autosufficienza“, è il suggerimento diffuso dopo il convegno Welfare aziendale, contrattuale e bilateralità in ambito sanitario organizzato giovedì a Torino da UniSalute, la compagnia del gruppo specializzata in assistenza sanitaria. “In questo modo anche il singolo cittadino potrebbe godere dei vantaggi fiscali e di coperture sanitarie di qualità. Una soluzione che avrebbe benefici anche sull’economia del territorio”.

Il succo è che Unipol, alle prese con un calo dei proventi in arrivo dalla gallina dalle uova d’oro Rc auto, punta ad allargare la platea dei potenziali clienti facendo leva sulla spesa privata per la sanità, in progressiva crescita mano a mano che si riduce il perimetro (e la qualità) dei servizi garantiti dal Sistema sanitario nazionaleIl gruppo è già oggi il secondo in Italia, dopo Generali, per ricavi ottenuti dalle polizze malattia, cioè quelle che prevedono tra l’altro il rimborso delle spese mediche sostenute per visite, accertamenti, operazioni e ricoveri. E ora vuole estendere il raggio di azione anche a chi ancora non può contare sull’assistenza integrativa di “secondo pilastro”. Chiamando in causa, appunto, Regioni ed enti territoriali, che in base a un decreto del 1992 possono anch’essi istituire fondi integrativi, proprio come i sindacati di categoria. Impostazione del resto condivisa dallo stesso ministro della Salute Beatrice Lorenzin, dichiaratamente favorevole alla “complementarietà tra pubblico e privato” nel settore sanitario e ai fondi aperti per i lavoratori che perdono il lavoro.

Fiammetta Fabris, direttore generale di Unisalute, ha auspicato anche la nascita di “fondi territoriali intercategoriali all’interno dei quali siano comprese più categorie di soggetti, lavoratori e non, ai quali poter garantire le coperture sanitarie integrative, che si interfacciano con il livello nazionale creando un vero sistema di Fondi comunicanti”. Secondo Fabris “è necessario coinvolgere tutti i soggetti preposti, aziende, istituzioni locali, sindacati e operatori del settore, secondo il principio di sussidiarietà, allo scopo di individuare quegli strumenti che rispondano ai bisogni del territorio”.