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Isis, i vuoti dell’intelligence e della politica

In poco tempo ha quasi raggiunto 10.000 mi piace la comunità facebook Muslims against IsisMentre i miliziani dell’Isis distruggevano prima il tesoro archeologico di Ninive e più recentemente quello di Nimrud con dei bulldozer, i veri musulmani posizionavano queste imponenti opere, alcune più antiche di 3000 anni fa, in musei riuscendo a conservarle per circa 1400 anni. Combattere il terrorismo non dovrebbe essere il pretesto per discriminazioni. Una caratteristica del fenomeno è quella di sfruttare e alimentare le paure dell’avversario.

Il mondo occidentale, paradossalmente a causa del proprio benessere e della percezione del proprio ruolo dominante, vive di paure. Le paure stanno diventando il supporto alle ideologie occidentali mentre l’Isis tende al contrasto e alla destabilizzazione sfruttando le paure del sistema stesso e utilizzandone i mezzi, tra i quali, prima di tutto, le risorse della guerra dell’informazione e le tecnologie. Negli anni il terrorismo è stato sottovalutato, razionalizzato e fagocitato dal sistema occidentale che in molti casi lo ha anche usato per destabilizzare determinate aree geografiche soprattutto in Medio Oriente. Ma se da un lato la sorpresa in campo tattico è comprensibile per via della segretezza dei preparativi, in campo strategico è invece il risultato di deficienze e superficialità imputabili alle strutture e a precise responsabilità manageriali e politiche.

La rivendicazione del primato tecnologico e militare americano unita alla timida e pigra strategia europea, è bilanciata e a tratti smentita dall’inadeguatezza dell’intelligence americana in termini di sofisticazione culturale, di esperienza, di approccio. Basti pensare che anche contro Isis principalmente sono stati schierati reparti speciali militari inglesi e americani. La grandezza militare spesso però non è controbilanciata alla sofisticazione culturale di cui si avrebbe bisogno. Dovrebbero contare di più gli analisti in grado di decifrare le correnti più profonde e ignote della società musulmana. Dovrebbero, perché spesso i loro rapporti vengono ignorati dai vertici politici. Occorrerebbe una politica delle alleanze meno improvvisata e meno costruita sulla scia emotiva come invece spesso accade.

In passato Chris Aaron, direttore di Jane’s Intelligence Review, raccontò sulla sua rivista  le conclusioni di una conferenza del giugno del 2002 presso il Centro per lo studio del terrorismo e della violenza politica all’Università di Saint Andrews, in Scozia sostenendo che : “la nuova guerra preventiva vedrà forze speciali dislocate all’estero per periodi lunghi, e impiegate rapidamente e segretamente in ambienti ostili per disarticolare e distruggere le organizzazioni terroristiche prima che colpiscano”. Queste parole lasciavano intuire l’intenzione di colpire l’eversione dovunque; senza bisogno di chiedere autorizzazioni ai Paesi nei quali le centrali eversive erano annidate. Una guerra preventiva basata sul colpire bersagli senza motivazioni concrete che nel tempo si è rivelata fallimentare in Iraq così come in Afghanistan e chissà forse anche per una eventuale nuova missione in Libia.