Cultura

Pompei, non c’è pace per l’Area archeologica vesuviana

Firma Action Plan progetto Pompei

Dopo gli smottamenti, ora i distacchi di frammenti d’affresco nella Domus del Centenario.

Il prof. Osanna, neo Soprintendente, che pochi giorni fa aveva presentato a Torino il progetto Grande Pompei, sdrammatizza su questi ultimi episodi. Con molto entusiasmo e coraggio, aveva annunciato la svolta per via di cospicui investimenti nell’ambito di sua competenza, che è stata ampliata dall’agosto 2013 trasformando l’originale Soprintendenza archeologica di Pompei in Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia. Come se ciò non bastasse, l’area di interesse è stata estesa a ben 22 comuni vesuviani comprendendo così l’immaginifico sito di Oplontis; solo quest’ultimo costituisce di per sé un motivo di orgoglio ma anche di maggiore impegno di risorse, non essendo ancora conclusi gli scavi che potrebbero riservare sorprese portando alla luce un nucleo frazionale (come lo chiameremmo oggi) di ineguagliabile raffinatezza e moderna concezione.

Gli scavi iniziati nel Settecento, ripresi un secolo dopo e successivamente riavviati negli anni 60-70, hanno dimostrato non solo la cura dell’epoca per le residenze auliche (la cosiddetta Villa di Poppea e villa di Lucio Crasso) ma anche l’attenzione alle infrastrutture primarie e secondarie. Ci soffermiamo su Oplontis poiché l’Università del Texas sta preparando una grandiosa mostra, che si svolgerà dal 2016 sino al 2018 e che, secondo gli organizzatori, dovrebbe portare ancora più presenze di quelle che l’intero sito di Pompei riesce ora ad attrarre. Lo stesso effetto sortì l’esposizione al British Museum con pochi ma ben evidenziati reperti. Il Progetto della Soprintendenza Speciale, riferendosi ad un territorio vastissimo, risulta un’impresa tanto affascinante quanto titanica, tenuto conto di un organico non adeguato e di problematiche legate alla gestione dell’emergenza sia che si tratti di messa in sicurezza sia di gestione di nuovi lavori. Ovviamente ci auguriamo tutti che gli obiettivi siano raggiunti, certo è che ci è sembrato azzardato che il Ministero creasse un sistema così allargato ed ambizioso con compiti non chiaramente definiti. La competenza, ad esempio sui 22 comuni vesuviani, è limitata alle sole aree archeologiche, mentre abusivismo o ancor peggio piani urbanistici a volte scellerati lambiscono le stesse, senza che un coordinamento generale impedisca quelli che erano i dettami della 1497/39, cioè preservare l’intorno e non solo il bene in sé. Controlli serrati viceversa sui programmi dei cospicui fondi da Bruxelles (105 milioni da utilizzare entro il 31 dicembre 2015), pena la perenzione.

Pompei inoltre è costantemente monitorata dall’Unesco, allarmata dalla presenza diffusa di microcriminalità, dal degrado e da sequestri di cantieri. É recente il dissequestro del cosiddetto Teatro Grande, che negli intendimenti del Mibact dovrebbe risultare più attrattivo dell’Arena di Verona.

Nell’ambito del cambiamento c’è l’implementazione dei custodi (ed io aggiungo dotati si spera di buon livello di scolarizzazione e senso civico), la diffusione totale di telecamere (mi auguro tecnologicamente avanzate ma non invasive) ed in più una segnaletica adeguata e coordinata. Quest’ultimo punto è importante per guidare i visitatori ed evitare percorsi incrociati e dare un’immagine gradevole di efficienza.

Sì perché finora il sito archeologico più ambito del mondo era l’emblema dei tanti luoghi comuni che aleggiano sull’Italia: sospesa tra bellezza indiscussa ed incapacità alla tutela e valorizzazione in tutte le sue accezioni. Occorrerebbe anche ricordare alle popolazioni locali che è più dignitoso e redditizio prestare un servizio adeguato e professionale come operatore turistico addestrato per i vari servizi, piuttosto che vivere di espedienti facendo scattare l’impulso ai 3 milioni di visitatori l’anno di scappare subito.

Certo non è il solo motivo: l’inadeguatezza delle strutture alberghiere e le carenze dei servizi in generale, impediscono ad un’area di grande fascino di essere, con un Progetto mirato, un’ alternativa alla cronica disoccupazione e all’alta densità criminale.

La sommatoria dei tanti problemi della zona, il cronoprogramma capestro da rispettare, l’emergenza continua da gestire, avrebbero dovuto consigliare la chiusura del sito per un anno. Viceversa il rimbalzo, anche per Pompei, dell’effetto Expo, ha comportato il prestito di diversi reperti nel Padiglione Italia al fine di ottenere per l’estate un sperato effetto “biglietto invito” con un notevole e straordinario afflusso di visitatori in concomitanza però di cantieri in piena attività per le scadenze a pochi mesi.

Si rischia così di vanificare un ambizioso quanto decisivo Progetto di riqualificazione di tutta l’Area archeologica vesuviana, decisivo ancor più dell’Expo per la Cultura e l’immagine del paese.