Cultura

Arte Fiera 2015, 52mila ingressi e oltre 160 eventi per la 39esima edizione

Il patron Duccio Campagnoli traccia un bilancio positivo dell'evento, che ha trasformato le strade di Bologna in un grande laboratorio culturale e artistico. Il percorso off ha poi consentito di rintracciare iniziative estremamente affascinanti ma meno conosciute

Un bilancio che conferma ciò che i numeri della vigilia già facevano sperare. A sipario chiuso il successo della 39ma edizione di Arte Fiera è messo nero su bianco dagli organizzatori, a cominciare da patron Duccio Campagnoli: “Con un giro d’affari che si aggira tra i 28/30 milioni di euro e un incremento del 20% delle vendite rispetto all’anno passato – ha detto il presidente a conclusione della kermesse – Arte Fiera 2015 vince la scommessa e conferma la propria importanza culturale nella storia dell’arte italiana”.

Parole confermate dai 52mila ingressi registrati dalle biglietterie – il 10% in più rispetto all’edizione 2014 – e le decine di migliaia di persone che si sono riversate in città sabato 24 in occasione di Art White Night, la notte bianca dell’arte, che ha trasformato le strade di Bologna in un immenso percorso culturale e artistico, con le oltre 160 iniziative che hanno messo a dura prova la capacità di scelta dei visitatori. Una soddisfazione condivisa anche da Set Up Art Fair, la giovane anti-fiera bolognese giunta alla sua terza edizione: negli spazi della centralissima autostazione sono stati oltre 9mila i visitatori che si sono aggirati curiosi tra gli spazi che hanno ospitato 33 gallerie italiane, rappresentative del versante più indipendente, irriverente e fresco dell’arte contemporanea nostrana.

Ma quello che più è parso emergere da questa edizione 2015, e che si va delineando ormai da qualche anno, è la netta definizione di due anime, che viaggiano su due binari paralleli in un singolare equilibrio: da un lato la Fiera, fedele alla sua natura di mercato dell’arte, in cui ben si difendono i grandi galleristi – destino comune alla società civile di una “classe” media che va scomparendo- e ciò che è storicizzato continua a vendere molto bene. Dall’altro un circuito off che, forse complice la conformazione urbanistica di Bologna – agevole da attraversare a piedi grazie alla sua dimensione, all’unicità dei suoi portici e alla pedonalizzazione del centro storico- ha visto una vera e propria invasione di arte in ogni spazio fruibile.

Non soltanto musei o spazi istituzionali più o meno prestigiosi, ma negozi e botteghe di barbiere, atelier ed osterie si sono trasformate in inediti spazi espositivi, con un importante ritorno di immagine. “L’arte contemporanea funziona spesso più come veicolo promozionale che non nel suo impianto teorico”, dice Fulvio Chimento, critico d’arte e curatore, membro del Comitato scientifico che ha assegnato i premi Set Up 2015: “Se i privati ne avessero maggior consapevolezza questi momenti non si limiterebbero ad un appuntamento annuale, ma animerebbero gli spazi cittadini con maggior frequenza, a vantaggio di entrambi gli attori coinvolti in questo sistema virtuoso”.

A dimostrazione di come la cultura possa davvero trasformarsi in un vettore economico di non secondaria importanza. Così accanto alle esposizioni più raffinate e alle performance a più alto impatto, Art City si è rivelata uno scrigno di sconosciute bellezze. Tra le mostre più raffinate impossibile non segnalare, nell’ambito dei grandi eventi, la magnifica “Too early to late. Middle East and Modernity” alla Pinacoteca Nazionale, curata da Marco Scotini: la più ampia esposizione mai realizzata in Italia dedicata alla scena artistica mediorientale, con un centinaio di opere provenienti da collezioni private esclusivamente italiane.

Un dialogo che indaga il rapporto tra occidente ed oriente, tutto giocato sul concetto di modernità, sui complessi intrecci che da secoli li legano indissolubilmente fino ad approdare al contemporaneo “conflitto di civiltà”. Un discorso che i fatti parigini delle ultime settimane hanno reso di tragica attualità, anche se la mostra è lungi dall’offrire il fianco a qualsiasi tipo di strumentalizzazione. La città stessa di Bologna – nella cui università nel 1312 vennero istituite le prime cattedre di arabo, ebraico e siriaco – è protagonista di uno scambio ininterrotto di influenze che continuerà con Napoleone, che sbarcato in Egitto fece redigere la sua monumentale Descrizione dell’Egitto.

Il percorso off ha consentito di rintracciare eventi estremamente affascinanti. Un ideale viaggio nel Novecento e nella modernità è quello costruito da altre due mostre che hanno dato modo di visitare luoghi normalmente chiusi al pubblico. La prima è il progetto “My house is a Le Corbusier” di Cristian Chironi, che ha visto la riapertura del Padiglione dell’Esprit Nouveau, edificio progettato da Le Corbusier e realizzato a Bologna nel 1977.

La seconda, la mostra fotografica “Inganni alla percezione”, che ha riaperto le porte dell’ex Atelier Corradi, storica sartoria di abiti per l’infanzia progettata nel 1954 dall’architetto Enrico De Angeli, vero e proprio gioiello di architettura moderna perfettamente conservato negli arredi e nei curatissimi dettagli, che ha suscitato un’ondata di emozioni e ricordi nei numerosissimi visitatori. E in questo viaggio nella modernità si è inserita pure la mostra fotografica dedicata al Villaggio Eni di Borca di Cadore, la residenza vacanza per i dipendenti Eni nelle Dolomiti concepito da Enrico Mattei e interpretato dall’architetto Edoardo Gellner tra il 1954 e il 1963: villaggio che è stato recuperato, rifunzionalizzato e trasformato in residenza d’artista con il “Progetto Borca” di Dolomiti Contemporanee.

Impossibile sarebbe ripercorrere tutti gli appuntamenti che hanno animato questa vera e propria maratona artistica, che ha avuto tra i suoi protagonisti anche il cinema con una serie di proiezioni e l’appuntamento clou con il regista inglese Mike Leigh, che ha presentato in anteprima nazionale il suo visionario Turner in concorso all’ultimo Festival di Cannes. L’impressione finale che si è ricavata è però molto confortante: e risiede nel riscontrare come l’arte, l’arte contemporanea nella fattispecie, abbia agito come un enorme aggregatore sociale, di energie, creatività, scambio e dialogo, ciò che in un’epoca di individualismi e atomizzazione suona quasi come un’ancora di salvataggio. Se all’arte un valore politico si può attribuire, tra gli altri, conforta sapere che possa risiedere anche in questa sua capacità.