Politica

Fisco, Renzi blocca decreto “salva B.”: “Non c’è inciucio ma ci fermiano”

Il premier ha deciso che il testo dovrà tornare in Consiglio dei ministri. Intanto non è ancora chiaro chi abbia scritto il comma che esclude la punibilità se l'evasione è di ammontare inferiore al 3% dell'imponibile. E restano dubbi sull'applicabilità alla frode fiscale

Matteo Renzi ha bloccato l’invio alle commissioni Finanze del decreto legislativo sull’abuso del diritto varato dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre. Quello incriminato perché potrebbe consentire a Silvio Berlusconi di chiedere un’incidente di esecuzione per la revisione della condanna a quattro anni per frode fiscale nel processo Mediaset. Palazzo Chigi ha fatto sapere che il premier “ha chiesto questa mattina agli uffici di non procedere alla formale trasmissione alla Camera del testo approvato”. Poco dopo Renzi, parlando al Tg5, ha confermato: “Se qualcuno immagina che in questo provvedimento ci sia non si sa quale scambio, non c’è problema: noi ci fermiamo. I professionisti del retropensiero avranno modo di ricredersi”. Questa norma, ha spiegato, la “rimanderemo in Parlamento soltanto dopo le votazioni per il Quirinale e e la fine dei servizi sociali di Berlusconi a Cesano Boscone e dimostreremo che non c’è nessun inciucio strano di cui temere”. E ancora: “Tutte le volte che si parla di fisco è naturale intrecciarsi con uno dei tanti processi a Berlusconi. Noi non facciamo norme nè ad nè contra personam”.

Il decreto dunque dovrà tornare in Consiglio dei Ministri e solo dopo andrà nelle Commissioni di Camera e Senato per poi tornare a Palazzo Chigi per l’approvazione definitiva, che in base alla delega deve arrivare entro marzo. Nel frattempo peraltro non è stato ancora chiarito chi abbia inserito nel testo licenziato nella seduta prenatalizia insieme ai decreti attuativi sul Jobs Act e al “salva Ilva” il comma che esclude la punibilità quando l’importo delle imposte sui redditi evase “non è superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato”. Fondi della presidenza del Consiglio negano che l’esecutivo faccia “norme ad personam o contra personam” e definiscono “strampalate” le “ipotesi di scambi politici-giudiziari, anche alla luce del delicato momento istituzionale che il Paese si appresta a vivere”.

Sullo sfondo resta il fatto che l’articolo 15 del decreto non è affatto chiaro e si presta a interpretazioni diverse. Tanto che gli stessi avvocati di Berlusconi, come riferisce Repubblica, sono divisi sull’ipotesi che l’ex Cavaliere possa trarne vantaggio. Da un lato è pacifico che la norma, in base al principio del favor rei, varrà per i procedimenti in corso (tanto che Il Sole 24 Ore il 28 dicembre ha avvertito che “salterà un processo su tre”) e potrà anche consentire di cancellare condanne passate in giudicato. Come avvenuto dopo il depotenziamento del reato di falso in bilancio con un decreto approvato nel 2002 dal governo Berlusconi: l’anno dopo, per esempio, l’ex ad di Fiat Cesare Romiti ha ottenuto dalla Corte d’Appello di Torino la revoca della condanna a 11 mesi per falso in bilancio perchè il fatto “non era più previsto dalla legge come reato”. Il falso in bilancio attribuito a Romiti era infatti pari allo 0,08% del patrimonio della Fiat, mentre la nuova legge fissava l’asticella della punibilità all’1 per cento.

Ci sono però dubbi sull’applicabilità alla frode fiscale. Come riferisce Repubblica, mentre per Franco Coppi “la legge si può ben applicare a Berlusconi”, lo storico difensore dell’ex premier Niccolò Ghedini ritiene che quel comma valga solo per le dichiarazioni infedeli e non per la frode fiscale, cioè la fattispecie che è costata a B. l’affidamento ai servizi sociali e la decadenza da senatore in seguito all’applicazione della legge Severino. Il presidente dell’Anm Rodolfo Sabella, interpellato dal quotidiano di Largo Fochetti, si dice però d’accordo con Coppi e non ha dubbi sul fatto che “la non punibilità si applichi anche ai reati di frode e che sia retroattiva”.

Dal canto suo Renzi, citato da Repubblica, assicura che “se davvero dovesse essere possibile” che il decreto possa “cancellare una condanna passata in giudicato“, è “pronto a bloccare la legge e a cambiarla”. Dunque nemmeno il presidente del Consiglio, che durante la conferenza stampa di fine anno ha lamentato che la stampa non si era occupata a sufficienza del decreto sull’abuso del diritto (“nessuno ne parla”), è certo di quali siano i confini di applicabilità di quel comma.

Il Corriere della Sera sottolinea come la norma – della cui paternità nessuno si assume la responsabilità – è “scritta male” e contiene una “ambiguità palese” perché non va a modificare l’articolo che si occupa di frode fiscale ma “etichetta con lo strano nome di “clausola di non punibilità” un elemento – come la soglia – che oggettivamente diventa un elemento strutturale del reato”. Al contrario, “quando nel 2000 fu depotenziato il reato di falso in bilancio” – nel 2000 fu approvata la legge delega sulla cui base fu varato il decreto del 2002 – “ciò avvenne inserendo nella struttura dell’articolo di legge le soglie sotto le quali esso diventava penalmente non punibile”. Di conseguenza la Cassazione dovette “prendere atto che si dovevano revocare tutte le condanne per falsi in bilancio di entità inferiore alle soglie introdotte nella vecchia norma dalla nuova”.

Allo stesso modo, per esempio, è stata la Suprema Corte, lo scorso agosto, a chiarire i contorni dell’applicabilità del nuovo articolo 416 ter del Codice penale – quello sullo scambio elettorale politico-mafioso – spiegando che la nuova legge rende “penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato concrete modalità di procacciamento dei voti”. 

E nell’ottobre 2013 le sezioni unite della Cassazione hanno dovuto intervenire per chiarire la linea di demarcazione tra le fattispecie dell’induzione e della costrizione, in cui la legge Severino ha spacchettato il reato di concussione. Stabilendo che va punito più duramente  chi “limita radicalmente” la libertà del soggetto sul quale fa pressione. Un’interpretazione che ha salvato B. dalla condanna nel processo Ruby.

 

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