Cultura

‘Particelle’: il ritratto dell’Iran contemporaneo nelle pagine di Soheila Beski

Sono felice di non essere mai stato giovane. A parte i miei figli, non mi piacciono i giovani. Emanano un odore nauseabondo di carne cruda. In loro fluttuano tutte le stupidità del genere umano, e ne sono anche orgogliosi. Le uniche cose che mi sono piaciute di quell’età sono state le canzoni d’amore. Le ho amate per tutto il tempo in cui sono stato giovane, anche se avevo già quarant’anni, e le amo ancora adesso. C’era qualcosa, non so dire cosa, nelle canzoni che rendeva superfluo avere una fidanzata. Era come se fossero loro stesse l’amore, anzi, la nebulosa fantasia dell’amore.

Originale, divertente, a tratti geniale, Particelle, il romanzo breve della scrittrice iraniana Soheila Beski, pubblicato in Italia da Ponte 33 e tradotto mirabilmente da Mario Vitalone, può essere letto come una grande allegoria dell’Iran contemporaneo, vizi, pregi e difetti di una nazione che cambia, rimanendo a tratti immutabile, alla velocità della luce. Mammone, debole, opportunista. Attento al rispetto delle norme sociali per amore del quieto vivere ma pronto a irridere gli eccessi di ossequio religioso o la mistificazione ingenua della democrazia, giudicata nient’altro che un nuovo conformismo.

Ossessionato in egual misura dal sesso e da una nevrosi esistenziale che le sue avventure extraconiugali ampliano fino alla paranoia, il protagonista della storia fluttua tra le norme, i divieti, le consuetudini e gli accomodamenti della società iraniana di oggi cogliendo con cinismo le opportunità che la sua condizione di maschio gli offre.

Poiché io non ho alcuna intenzione di muovermi da dove sono, fosse anche per andare in Paradiso, posso qui affermare che i fatti dell’11 settembre non mi hanno inquietato così tanto come si dovrebbe (…) a parte la scena che, come direbbero gli appassionati di cinema, è stata sicuramente potente e drammatica, non è poi così male che abbiano avuto un assaggio di certe cose. Se ne sono stati seduti rilassati all’ombra a divertirsi per troppo tempo, e qualcuno doveva pur far sapere loro cosa succede in questa parte del mondo.

Una particella che vaga tra la realtà concreta fatta di madri, padri, figli, amici, lavoro, amori, tradimenti, piccole viltà, e scarse, scarsissime virtù, e un mondo virtuale dalle seducenti possibilità spalancato da un semplice computer da ufficio. Infilarsi nel buco nero del mondo virtuale, per sfuggire alle trappole che la vita e la sua incapacità di affrontarla responsabilmente gli tendono, diventa per questo sessantenne vicino alla resa dei conti un espediente per ancorarsi a una realtà più vasta dove tutto può essere “svelato rimanendo velati”.

Sono consapevole che il mondo virtuale non ha niente a che fare con lo spazio, ma non so perché mi sembra che sia un posto molto in alto, da qualche parte nel cielo o nella galassia. Nel mondo reale ho una paura folle dello spazio e dei suoi buchi neri. Mi terrorizza anche solo pensare al cielo, al mare, al mondo sotterraneo. Ho paura di prendere un aereo o di salire su una nave, e non guardo mai un film di fantascienza.

Con una sintesi efficace e sorprendente tra alcune delle “ossessioni” della millenaria cultura iranica – il male e il bene, la verità e la menzogna, l’efficacia della parola – e le sfide filosofiche poste dall’avanzare frenetico della tecnologia, Soheila Beski traccia il ritratto impietoso di un uomo ancorato ad un ipocrita modello di supremazia maschile superato nei fatti da una realtà che avanza più veloce della luce.

Anche nelle coppie eterosessuali, un uomo è un uomo quando è lui ‘l’attivo’, non solo a letto, ma in ogni circostanza. In verità, da noi, la penetrazione fisica tra le lenzuola, che in ogni caso è un compito maschile, non è sufficiente. L’uomo deve penetrare dovunque e comunque, e disporre di ogni cosa. Deve stare sopra e dominare. E per farlo deve essere qualcuno. Secondo me, essere costretti a diventare qualcuno è un’altra delle punizioni che Dio ha inflitto ai figli maschi di Adamo.

Soheila Beski, nata a Tehran nel 1953, è una figura di intellettuale tra le più significative dell’Iran contemporaneo. Responsabile della rivista Memar, prestigioso periodico di design ed architettura, dedica alla letteratura un impegno costante come scrittrice, ma anche come traduttrice e critica letteraria. Ha al suo attivo due raccolte di racconti e quattro romanzi.