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Droga, appalti, pizzo. L’arma del libero mercato per combattere le mafie

L'Italia è poco liberalizzata e molto corrotta. Introdurre più concorrenza e trasparenza può arginare i danni della criminalità organizzata in economia

Premesse: liberalismo significa fiducia nella libera concorrenza per aumentare il benessere collettivo, mentre per liberismo si intende fiducia nel privato “a prescindere”. E i”libertari” (l’aggettivo in italiano non si usa) son quelli che credono nello Stato minimo “a prescindere”.

In quali settori prosperano e si arricchiscono maggiormente le mafie? Considereremo solo tre settori, e in modo non completo, per ragioni di spazio e di competenza. Il primo, e di gran lunga il principale, è la produzione e distribuzione di “sostanze psicoalteranti proibite”. Cioè droga. Non di sostanze psicoalteranti lecite da noi (alcolici), ma non altrove (paesi islamici di stretta osservanza), né di sostanze solo lievemente psicoalteranti ma estremamente dannose (tabacco). Le ipotesi alla base della proibizione delle droghe sono che: i cittadini siano stupidi, e non percepiscano i danni alla loro salute e che poi allo Stato, cioè agli altri, tocchi curarli con soldi pubblici. Non abbiamo possibilità di approfondire qui le (serie) obiezioni possibili a tali principi, ci limitiamo a enunciarli. Ma i fatti comunque suggeriscono che, proprio perché illegale, quello della droga è diventato un business planetario controllato dalla malavita e che genera migliaia di morti all’anno. La repressione ha costi pubblici enormi, senza consistenti effetti di riduzione dei consumi, e quindi delle conseguenze per i consumatori di droghe e dei costi per la sanità pubblica. La repressione è però una sorta di “business parallelo” con molte centinaia di migliaia di addetti.

Un gran numero di economisti e di studiosi, Roberto Saviano compreso (si veda il suo libro Zero zero zero), concorda che liberalizzare il settore sarebbe male minore. L’esempio del proibizionismo dell’alcol negli anni Venti del secolo scorso è illuminante: fioritura di una agguerrita criminalità, produzione senza controlli di alcolici semitossici, modesto calo del consumo. La pericolosità per la salute dell’alcol liberalizzato non sembra inferiore a quello della cannabis, però non genera l’interesse di mafie. Per fortuna il fronte proibizionista, per ora solo per le droghe leggere, comincia a sgretolarsi, soprattutto in America. Più delicato il discorso per gli oppiacei, la cocaina e le droghe sintetiche. L’enorme incentivo economico generato dai divieti (che mandano prezzi e profitti alle stelle) continuerà a promuovere la ricerca “scientifica” di sostanze di sintesi più efficaci, meno costose da produrre “in garage”. E, finché proibite, incontrollabili per pericolosità.

La tutela della salute, in un contesto più liberalizzato, sarebbe affidata maggiormente all’educazione, anche scolastica, alla fiscalità, come in Svezia per gli alcolici, o alla pubblicità, come per gli alcolici in Francia (noi abbiamo le scritte sui pacchetti di sigarette, ma la lobby dei produttori di alcol non quanto serve a far vivere decentemente chi ci lavora. Ma se il settore finora è riuscita a evitare ogni intervento). Tutto questo sarebbe realizzabile con costi pubblici molto inferiori a quelli connessi alla repressione.

Un secondo settore è il “pizzo”, e mi limiterò al piccolo commercio. Le imprese maggiori hanno più mezzi per difendersi. Le mafie non vogliono far fallire i commercianti che pagano il pizzo: morirebbe la gallina dalle uova d’oro. Quindi scremano parte dei profitti, non quanto serve a far vivere decentemente chi ci lavora. Ma se il settore fosse veramente liberalizzato, i profitti praticamente sparirebbero (è la regola generale della concorrenza). I consumatori vedrebbero prezzi in discesa, e le uova d’oro si ridurrebbero drasticamente. Molti tentativi sono stati fatti, ma le resistenze sono forti, anche perché già all’origine il rilascio delle licenze è un affare lucroso per le amministrazioni locali corrotte.

La terza fonte di arricchimento delle mafie, come dimostra l’inchiesta su Roma, sono gli appalti pubblici. E l’intreccio con la corruzione politica è strettissimo. La malavita organizzata controlla strettamente le attività che gli economisti chiamano non foot loose, cioè che è necessario acquistare in loco: movimento terra, inerti, trasporti di cantiere. Anche qui, denari pubblici, e senza vincoli reali: la “grande opera” va finita, costi quel che costi. La storia dell’Alta Velocità è illuminante, con extracosti fenomenali rispetto a quelli di Paesi vicini al nostro (si veda una recente ricerca della Reason Foundation americana). Tutti gli attori, mafie comprese, sanno che alla fine lo Stato pagherà. Questo, appunto, se paga lo Stato. Se ci fossero più soldi privati, e meno garanzie pubbliche, le difese dal racket sarebbero molto più vivaci e organizzate, perché motivate dalla ricerca del profitto. E forse si farebbero anche meno opere inutili.

In sintesi: certo la gamma dei rimedi, tutti difficili, è ampia. Ma non sembrano esservi dubbi che una cultura più liberale sarebbe uno strumento efficace, tra i molti necessari. La malavita organizzata prospera dove ci sono alti profitti e rendite di monopolio, che è proprio ciò che una concorrenza ben governata tende a erodere, a vantaggio della collettività. Forse non è proprio un caso che in tutte le classifiche internazionali risultiamo un Paese contemporaneamente poco liberalizzato e con fortissima presenza mafiosa.

da il Fatto Quotidiano del 10 dicembre 2014