Società

Mafia Capitale e corruzione: che fare?

Ieri sera, prima di addormentarmi, stavo leggendo il mio solito Maigret, questa volta si trattava de L’impiccato di Saint Pholien. Verso la conclusione leggo: “Il padre di Willy Mortier seguitava a comprare, pulire e vendere budella a vagonate, a corrompere consiglieri comunali e a rimpolpare il suo patrimonio”. Siamo negli anni ’50, un’epoca dalla moralità collettiva ancora alta, a Liegi, Belgio. Simenon lascia intendere che le prassi corruttive dei politici locali fossero la regola. Ragionando dunque lucidamente sulla situazione italiana ritengo si debba andare un poco più in là rispetto a semplicistiche invettive contro la casta o contro la politica. E francamente mi fa sorridere chi, come ancora oggi il ministro Alfano, invoca nuove leggi, tante novelle grida manzoniane. La corruzione come la evasione fiscale sono due cancri che vanno combattuti perché bruciano risorse preziose che vengono pagate dai contribuenti con un sistema molto elevato di tassazione. Che fare dunque?

Innanzitutto ci vuole meno “Stato”, vale a dire meno “pubblico”. Là dove la politica decide su troppe cose, maggiori sono le occasioni di corruzione. Aveva perfettamente ragione Kenneth Minogue quando scriveva che “l’espansione dello Stato è una truffa politica nella quale il fine (aumentare il potere dei governanti) è spacciato come un mezzo per raggiungere un obiettivo virtuoso ed auspicabile”. L’esempio dello scandalo di Roma è paradigmatico. Buzzi al telefono avrebbe affermato: “i rom sono meglio della droga”. Una recente inchiesta tv ha rivelato che si spendono solo a Roma 24 milioni di euro per la assistenza ai rom. Quasi tutti questi soldi sono serviti per ingrassare cooperative varie, burocrati, politici. Il punto è però: perché tutti questi finanziamenti pubblici per politiche di assistenza ai rom? I rom, come tutti i cittadini dell’Unione Europea, si iscrivano come tutti ad un centro di collocamento, facciano domanda per una casa popolare (a proposito: si torni a costruire case popolari, magari anche dignitose!), e si creino le condizioni perché mandino i figli a scuola. I campi nomadi permanenti vanno chiusi. Se non possono sostentarsi e sono stranieri tornino al paese di origine.

Secondo punto: gli appalti non li deve fare il potere burocratico-politico. Mi diceva un vecchio professore, un tempo consulente di diversi enti, che negli anni ’50 quando arrivava un appalto agli amministratori pubblici venivano gli occhi lucidi. “Abbiamo l’appalto!”, urlavano pieni di gioia. Il potere politico si limiti a stabilire la necessità dell’intervento del privato e il suo finanziamento, poi la gestione dell’appalto passi ad una centrale locale o nazionale, a seconda dei casi, diretta da magistrati e composta da personale molto ben pagato, altamente selezionato e rigidamente controllato nel suo tenore di vita, nelle frequentazioni, non originario della provincia in cui opera.

Terzo punto: basta con il mito delle preferenze. Si utilizzi l’uninominale ovunque. Aveva ragione Riccardo Magi dei Radicali intervistato recentemente a Omnibus: se per prendere 1800/2000 euro al mese devi spendere 100 o 200.000 euro di campagna elettorale, qualcuno ti darà quei soldi e non sarà certamente gratis. A maggior ragione vale per le regionali, dove le cifre per essere eletti sono spesso più elevate. Ed è ridicolo pensare che uno sconosciuto, alla sua prima esperienza politica, prenda 8 mila preferenze: dietro ci sono blocchi di voto, masse di clientela.

Quarto punto: il problema non è della politica, ma della società. Se ci si ostina a non capirlo, o si è stupidi o in malafede. I corruttori non sono politici e i politici prima erano impiegati, professionisti, imprenditori etc. È la società italiana che ha un livello molto basso di moralità collettiva. E quando qualcuno dice: “non ci si deve scandalizzare se qualcuno ruba una bicicletta o un ombrello o se qualcuno non paga la bolletta”, già lì legittima in piena buona fede l’abbassamento del livello etico. All’inizio del ‘900 un ministro del Regno si suicidò perchè accusato, forse ingiustamente, di aver sottratto un orologio dal Ministero. Oggi sarebbe impensabile. Manca completamente il controllo sociale nella vita quotidiana a iniziare dalla reazione verso chi sporca sui marciapiedi, verso chi danneggia la segnaletica stradale, verso chi mette i piedi sul sedile del bus, verso chi fuma sui mezzi pubblici, verso chi non paga il biglietto, verso chi imbratta i muri, verso chi ottiene la promozione con furberie di vario genere, verso chi passa con il rosso, verso chi parcheggia in doppia fila; e invece si finisce con il legittimare quelli che evadono le tasse o non pagano i fornitori non perchè ridotti sul lastrico, ma perchè fanno i furbi. Manca il controllo sociale e manca solo in Italia fra i grandi Paesi occidentali e manca perché molti italiani, per motivi diversi, preferiscono così. Lo hanno detto molto bene i criminologi sostenitori della “broken windows theory”: la lotta al crimine e quindi anche alla corruzione inizia dal contrasto alle piccole illegalità, quelle quotidiane, che fanno sembrare normale che la legge si possa violare.

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