Politica

Mafia capitale, alla cena del Pd c’era anche Buzzi, l’uomo tra coop e “cupola”

Al Fatto la conferma, da fonti di Palazzo Chigi, la presenza dell'uomo chiave dell'inchiesta Mafia capitale all'iniziativa di fundraising con il comizio di Matteo Renzi. Il partito non dà conferme ufficiali: "Elenco invitati protetto da privacy"

Salvatore Buzzi, il gestore degli affari della cupola, colui che aveva il libro paga di ‘mafia capitale’, alla cena di fundraising del Pd di Roma c’era. Portato dal partito cittadino, cme confermano al Fatto Quotidiano fonti di Palazo Chigi. Magari da Mirko Coratti, allora presidente dell’assemblea capitolina, e ora dimissionario, perché tra gli indagati. Anche lui seduto a uno dei tavoli del Salone delle Tre Fontane di Roma.

“Un parlamentare magari portava due o tre ospiti. I quali a loro volta ne portavano altri. La segreteria nazionale aveva un elenco parziale, dei primi ‘invitati’. Non di tutti”. Classico sistema di scatole cinesi per le cene di fundraising del Pd, organizzate una a Milano, l’altra a Roma, il 6 e il 7 novembre. Evento in grande, con comizio del premier e 1000 euro minimo di sottoscrizione per i partecipanti. Un migliaio e più a serata. Controllo su chi entrava? Sostanzialmente, nessuno. Organizzazione a cura del tesoriere, Francesco Bonifazi e della responsabile Comunicazione del Pd, Alessia Rotta. Con gli elenchi che si aggiornavano ora dopo ora e nessun filtro particolare. “Ci sarà di tutto. Meglio restare fermi al proprio posto e non muoversi. Non sai mai chi ti avvicina, con chi rischi di farti fotografare”, confidavano i dem, prima dell’appuntamento . Soprattutto quello romano, dove ci si aspettava in blocco l’arrivo di palazzinari e personaggi dubbi. A Roma, il misto affari-politica è sempre stato molto presente e molto scivoloso.

Timori e preoccupazioni un mese dopo sembrano più che giustificati. “Non ne ho la più pallida idea”, rispondeva Matteo Renzi a Bersaglio Mobile alla domanda se ci fossero alla cena dell’Eur personaggi coinvolti nell’inchiesta “Mondo di mezzo”. Dallo stesso Salvatore Buzzi, in poi. Ma poi assicurava: “Ci sono gli elenchi. È tutto trasparente”. Ecco, tutto trasparente non è. Il giorno dopo trovare la lista completa è sostanzialmente impossibile. I vertici dem in blocco fanno muro. La lista non si può dare perché serve la liberatoria dei contribuenti, secondo la legge della privacy. Ma gli organizzatori stessi ce l’hanno? Loro provano a dire di sì. Ma per deduzione: perché, i bonifici devono essere stati fatti. “Tutti prima? E davvero da tutti? L’elenco completo non ce l’avrai mai. Se qualcuno si è comprato tutto il tavolo, il tavolo è a nome di un altro. E chi c’era non si sa”, confessavano ieri i renziani. “Buzzi c’era? Non lo so, non so neanche com’è fatto”, la risposta standard a metà giornata. Qualcuno la buttava in politica: “In realtà, essendo il capo delle Cooperative non ci sarebbe neanche stato motivo di tenerlo fuori”.

Renzi, per parte sua, ha difeso la necessità e l’opportunità del fundraising: perché, ha spiegato in diretta tv, le cene servivano a evitare la cassa integrazione per i dipendenti democratici. Ma a bubbone scoppiato, dimostrano sostanzialmente una cosa: che il segretario e i suoi non avevano il controllo di chi entrava. E di chi pagava. Non c’erano Luca Odevaine ed Eugenio Patanè, assicurano adesso dal Pd. Altre presenze scomode, note e ignote, non si possono escludere. Riccardo Mancini? “Non lo so – dicono dai vertici cittadini – chiedete al Pd Roma”. Un modo per sottolineare la distanza, per marcare la differenza. Renzi e i suoi erano consapevoli che lì in mezzo c’erano tante cose che non tornavano. Ma sono arrivati prima i magistrati.

Per esempio, in extremis fu cancellato un tavolo di Marco Di Stefano, indagato dell’ultima ora. Che infatti alla Leopolda moderava un tavolo. Il nervosismo ieri serpeggiava tra dem di vario ordine e grado. Perché – peraltro – l’inchiesta non è finita qui. E tutti si aspettano, che arrivino nuovi indagati e nuovi arrestati. Dopo il Commissariamento del Pd Roma, si ragiona anche su quello del Pd Lazio.

Politicamente, c’è un filo rosso che unisce la mancanza di rinnovamento e il mancato controllo del partito a livello locale, che va da nord a sud. E mette insieme varie storie e varie questioni. Dall’Emilia Romagna, dove è rimasto in piedi il sistema politico di Errani, al Pd romano, alla Campania, dove trovare un candidato per le primarie spendibile, diverso da personaggi come Andrea Cozzo-lino e Vincenzo De Luca è molto difficile.

da Il Fatto Quotidiano del 5 dicembre 2014