Cinema

‘Adieu au langage’: Jean-Luc Godard (ri)va alla rivoluzione con gli occhiali 3D

Cinefilo? Sicuramente cinofilo, con un cane per guida. In 3D per fare spettacolo o per accecare gli spettatori? La seconda: almeno in una sequenza, tocca tenere un occhio aperto e l’altro chiuso, se no si va ai pazzi. Un capolavoro o una cagata pazzesca? Entrambi. Le frontiere del cinema – è ancora cinema, sicuri? – vengono spostate più in là, ma la celebre recensione fantozziana alla Corazzata Potemkin qui trova un concreto appiglio: “Io parlo di eguaglianza, tu parli sempre di merda”, dice una donna all’uomo sulla tazza.

Il sonoro è inconfondibile: sì, sta cagando. “Bullshit!”, sparò a zero un’americana uscendo dal Grand Théatre Lumière di Cannes lo scorso maggio, ma “pazzesco, amazing, chef-d’-oeuvre” trovarono altrettanta voce: Mesdames et Messieurs, è Jean-Luc Godard, è il suo nuovo film, Adieu au langage. Code bibliche fuori, standing ovation in sala sulla Croisette, e ora tocca anche a voi: 70 minuti di durata e la musica, apertura e chiusura, che parla italiano: “Il potere agli operai! No alla scuola del padrone! Sempre uniti vinceremo, viva la rivoluzione!”. Già, canta Lotta Continua, esplicitamente citata: Jlg (ri)va alla rivoluzione, con gli occhialini 3D e un film – un film? – che mette insieme Google e Solzhenitsyn, Hitler (Machiavelli, Richelieu e Bismarck) e “la predisposizione al totalitarismo della democrazia moderna”, le nanotecnologie e il terrorismo, chiedendosi, tra mille altre cose, se “è possibile produrre un concetto d’Africa?”. Godard frulla vecchi film (il Mabuse di Lang, e non solo), il lago di Ginevra, una coppia, il cane, divide tra 1 La Natura e 2 La Metafora, esplode colpi di pistola, stressa in anamorfosi il 3D, riflette se la società possa accettare l’omicidio per combattere la disoccupazione, interroga sulla differenza tra un’idea e la metafora.

Sono passati appena 20 minuti e non si capisce se il “film” è nuovo di suo o semplicemente ti ha fatto invecchiare, ma Jlg ha una risposta buona per tutto: “L’esperienza interiore oggi è proibita nella società e in particolare nello spettacolo”, indi, becchiamoci il suo stream of consciousness, da rendere cinéma de papa – quello tanto vituperato dalla sua Nouvelle Vague – Michael Snow, Baruchello e Grifi. Figuriamoci, ma lui ne è sicuro: “Oggi tutto il mondo ha paura” e, nel caso, questo Adieu non aiuta. Potresti vederlo cento volte e non capirlo uguale: forse perché non c’è nulla da capire? Non esageriamo, la sinossi la serve lo stesso regista e, se è difficile ritrovarla compiutamente sullo schermo, nondimeno è assai fascinosa: si conclude, “dalla razza umana passiamo alla metafora, e si finisce tra abbai e pianti di un bambino”. In mezzo, il bagno è occupato, la donna insorge: “Non possiamo chiamarla uguaglianza”, ma l’uomo cita Il Pensatore di Rodin, noto cacadubbi, e, sì, continua a cagare. Adieu o Ah Dieux?

Jlg serve entrambi, sfodera la dichiarazione universale del buon animale e afferma che gli uomini sono ciechi: la coscienza non ci permette di guardare il mondo. Tutto il resto è linguaggio, s’intende, selezione e combinazione di Monsieur Jlg: il faccia a faccia ha inventato il nostro linguaggio, asserisce, ma il faccia a faccia con qualche spettatore di Adieu potrebbe essergli fatale. Meglio rimanere nella sua Ginevra, e chiedere al cinema se le più grandi invenzioni siano lo zero e l’infinito o piuttosto il sesso e la morte. Il nostro blocchetto di appunti ne ha ancora per pagine, da “Mi piacerebbe chiamare proletario il re delle cose” a “Parole, non voglio sentirne parlare”, da “non c’è nudità nella natura” a Mary Shelley, ma tanto è inutile: “Bambini? Non sono sicura. Un cane, sì!”. Ecco, Adieu au langage è un film da cani: per Godard, ne siamo certi, un complimento.