Lavoro & Precari

Raffaele Bonanni, gli stipendi record e la crisi dei sindacati

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La notizia del super-stipendio di Raffaele Bonanni, pubblicata sul Fatto Economico la scorsa settimana (di oggi la notizia delle dimissioni dell’ex segretario dal Centro Studi della Cisl), non è stata ripresa dagli altri giornali. Molto cliccata sul web, solo Enrico Marro, sul supplemento economico del Corriere della Sera, ha dato conto dei mal di pancia della Cisl per una storia – stipendi aumentati a dismisura fino ai 336 mila euro del 2011 per il segretario generale – obiettivamente imbarazzante.

Il Corriere scrive che la Cisl affiderà gli stipendi dei suoi dirigenti e funzionari ai Caf del sindacato, in modo da ottenere un controllo, almeno a posteriori. Un primo passo, ma insufficiente.

Il problema della trasparenza interna se l’è posto qualche tempo la Fiom di Maurizio Landini che ha deciso di pubblicare sul proprio sito, a cadenza mensile, le buste paga dei suoi dirigenti e funzionari. Così si può leggere che lo stipendio del sindacalista probabilmente più conosciuto in Italia è di 2.250 euro, solo cento euro in più di un componente della segreteria nazionale della Fiom: 2.150 euro. Segue “l’apparato politico nazionale”, cioè i funzionari, che guadagna in media 1.860 euro mentre “l’apparato tecnico” si ferma a 1.480 euro. Le cifre sono grosso modo queste per tutti i sindacati.

A parte casi eccezionali o di corruzione e di evidente conflitto di interessi, in Italia non ci si arricchisce a fare il sindacalista.

Però solo la Fiom ha reso pubblici i suoi stipendi, mentre la Cisl non va oltre l’affidamento ai Caf. La stessa, quando è interpellata su questo punto, risponde sempre che i suoi bilanci sono pubblici. I bilanci complessivi non danno però conto delle tante voci interne in cui, spesso, si annidano le maggiori difficoltà.

In un sondaggio sulla “fiducia nel sindacato” commissionato dall’Associazione Bruno Trentin della Cgil, si legge che la percentuale di coloro che “si sentono soli” nella loro condizione lavorativa è del 58% ed è molto alta tra i disoccupati (67%) e i pensionati (60%) ma anche tra i lavoratori a tempo indeterminato (55%). Eppure l’insieme degli iscritti al sindacato, compresi i pensionati, supera abbondantemente i dieci milioni e, secondo la rilevazione della Bruno Trentin, il 55% considera il sindacato “utile”.

Quando scatta una qualsiasi crisi aziendale i lavoratori avvertono la necessità di una struttura che li protegga e li rappresenti. Però, anche per il sindacato italiano, il problema della credibilità e della autorevolezza si è posto da tempo. Se Renzi ha un vantaggio competitivo nello scontro con la Cgil è proprio questo. I sindacati farebbero bene a muoversi in tempo altrimenti l’ondata di anti-politica che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi dieci anni prima o poi si abbatterà anche su di loro.
il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2014