Cultura

Colosseo: se ricostruendo l’arena entrano i gladiatori con lo swatch

Al Colosseo il tempo non muta quasi le cose. Nella piazza antistante i turisti si confondono tra gladiatori con daga e swatch, venditori di puntatori laser e gli intoccabili baracchini-bazar. Poco più avanti, lungo via dei Fori imperiali, ci sono anche i maghi con tunica arancione e turbante. Non manca la coppia di vigili urbani, presenza che per nulla ostacola l’esercizio dei tanti abusivi. E’ vero, ci sono i ponteggi che cingono le arcate del Colosseo. Prosegue la pulizia ai marmi e il restauro delle parti mancanti. Ma la realizzazione di questa operazione passa quasi inosservata, grazie ai cantieri della Metro C ai due lati della strada ormai semipedonalizzata. In un paesaggio mortificato da macchine per fare pali di cemento armato, grandi escavatori in movimento, sbancamenti, monumenti ingabbiati e distruzioni piccole e grandi, il Colosseo quasi scompare. La guest star dell’archeologia, il monumento “più grande di uno stadio di baseball” secondo la recente definizione di Obama, riconquista le pagine dei quotidiani, torna a trovare spazio tra i servizi dei tg nazionali. E’ il ministro Franceschini in persona a riaccendere l’attenzione sull’anfiteatro più famoso al mondo.

“L’idea dell’archeologo Manacorda di restituire al Colosseo la sua arena mi piace molto. Basta un po’ di coraggio”, ha twittato il ministro. Che per suffragare la sua proposta ha postato sui social anche alcune foto Alinari per mostrare “come i visitatori vedevano e vivevano il Colosseo sino a poco più di un secolo fa”.

Documenti inequivocabili di uno status del monumento differente da quello attuale. Risultato delle decennali indagini di Rossella Rea, funzionaria della Soprintendenza Speciale per i beni archeologici di Roma e Direttore del complesso. Daniele Manacorda, l’ispiratore di questa proposta, docente di Metodologia della ricerca archeologica a Roma Tre, sostiene di non capire “perché i sotterranei del Colosseo stanno a pancia all’aria sotto il sole e non sono tornati lì dove dovevano stare?”. Il ripristino di un piano pavimentato “gli permetterebbe di tornare ad essere…un luogo che accoglie non il semplice rito banalizzante della visita del turismo massificato, ma un luogo che, nella sua cornice unica al mondo, ospita, nelle forme tecnicamente compatibili, ogni possibile evento della vita contemporanea”. Quanto questa proposta possa incontrare il favore popolare non è difficile da immaginare. Nella gran parte dei casi le novità hanno un naturale, incondizionato, appeal. Le semplificazioni poi contribuiscono senza dubbio ad un maggiore coinvolgimento. A funzionare da attrattore. Quando sono reali. Così l’operazione ispirata da Manacorda e sostenuta da Franceschini ha tutti i requisiti per connotarsi come “nuova”. Anche se appare più dubbio il fatto che possa rendere più semplice quel che ora non lo é. Mi riferisco alla comprensione del dedalo di strutture che “riempie” l’area, per ora visibili solo dall’alto. E’ innegabile che farsi un’idea di come fossero originariamente “i corridoi in cui si muovevano gli inservienti, le celle che ospitavano le belve prima degli spettacoli, i passaggi che permettevano di sollevare le macchine di scena”, non sia facile. Ma non vedo come la copertura potrebbe determinare la nuova vita dei sotterranei. Certo si creerebbero le condizioni per renderli visitabili, per organizzarli in spazi fruibili. Ma questo è più che improbabile comporterebbe sic et sempliciter una loro maggiore intelligibilità. A questo, invece, potrebbero contribuire in maniera decisiva specifiche ricostruzioni in 3D visibili in un museo del Colosseo, da realizzare nell’anello superiore. Uno spazio dedicato alla spiegazione del funzionamento del monumento.

Quanto alla visione che si potrebbe avere dal centro con la ricopertura dell’arena è innegabile che il colpo d’occhio cambierebbe. Alzandosi sulle gradinate illuminate, spaziando lungo l’intero ellisse. Piuttosto che concentrarsi verso il basso, in gran parte in penombra. Ma il problema è un altro. E’ vero che ancora alla fine dell’Ottocento, come dimostrano le immagini in bianco e nero dell’Archivio dei fratelli Alinari, era possibile passeggiare nell’arena, guardare le gradinate dall’interno. Ma questa situazione non era quella originaria, quando nell’anfiteatro non passeggiavano turisti ma si esibivano gladiatori veri. Ed il frastuono era solo quello degli spettatori intenti a tifare. Dunque, come sostiene Manacorda, quelle strutture che si vedono ora al di sotto dell’arena saranno pure il risultato “di un modo di concepire l’intervento sui monumenti e le stratificazioni antiche come un’insana esposizione delle cose morte”. Ma sono anche una fotografia di uno status. Ricorrere a un “photoshop” renderebbe forse più bella l’immagine, ma ne altererebbe indebitamente la realtà.

Le eccezioni avanzate tuttavia quasi diventano trascurabili se si considera che, leggendo tra le righe delle diverse dichiarazioni sul tema, sembra di poter rintracciare altro. Infatti se Manacorda parla di “luogo che,…ospita, nelle forme tecnicamente compatibili, ogni possibile evento della vita contemporanea”, Andrea Carandini, Presidente del Fai, suggerisce che “con tutte le attenzioni del caso lo spazio dell’arena potrebbe tornare ad ospitare spettacoli”. Insomma, naturalmente è inutile dire che per entrambi, le modalità di utilizzo dovranno essere rispettose del monumento. Non è questo il punto, evidentemente. Ma piuttosto l’idea che sembra muovere l’operazione. Anche questa operazione targata Franceschini. Dopo quella dei campi da Golf, “che ampliando, riusciranno ad attrarre il turismo straniero, che oggi non si riesce ad attirare”. Dopo quella dei monumenti in affitto per eventi privati. L’idea cioè che Parchi archeologici e ville, come palazzi e Musei possano, anzi, debbano essere, lo spazio nel quale rappresentare quel che il mercato offre. La sfilata di moda e la cena di una società straniera, come il servizio fotografico di qualche coiffeur di grido, come il concerto di una rockstar. Magari, anche le commedie antiche. Il Patrimonio inteso come un set. Il valore determinato quasi dall’utilizzo possibile, piuttosto che da quello intrinseco. Fino al punto che il richiamo all’intervento privato, istituzionalizzato con l’Art Bonus, viene quasi svilito. Cancellato con operazioni, come quella del Colosseo, che sembrano puntare più su una sua fruizione diversificata, piuttosto che sull’implementazione dell’offerta scientifica.

Ci si può interrogare sui costi dell’operazione, sulla sua sostenibilità, come sottolinea Adriano La Regina, a lungo Soprintendente archeologo a Roma. Oppure indagare se essa sia una “priorità ragionevole” nella voragine di criticità nel settore delle antichità esistenti a Roma. Senza tralasciare quanti si dichiarano entusiasti dell’idea. Ma in ogni caso rimane il timore, a quanto sembra non condiviso dalla Soprintendenza archeologica, che “sta già lavorando al progetto di ricostruzione”, che con l’arena ricostruita i gladiatori con lo swatch, ora fuori nel piazzale, finiscano per entrare dentro. In quel caso sarebbe una sconfitta per tutti. Anche per Carandini che si rammarica di non essere “giovane, bello e forte, così da prestarsi sicuramente come gladiatore”.