Politica

Jobs act, Camusso e Bersani: “Battaglia”. Renzi: “Difendono ideologie, non gente”

Sinistra scatenata sulla riforma del lavoro. Il segretario della Cgil: "Pensa alla Thatcher ed è in continuità con Berlusconi". L'ex leader Pd: "A rischio i diritti dei lavoratori, pronti gli emendamenti". Landini: "Il contratto a tutele progressive è una presa per il culo". La Fiom anticipa la manifestazione al 18 ottobre. Vendola: "Cose da estrema destra". Il presidente del Consiglio: "Vogliamo cittadini uguali, mentre le organizzazioni hanno contribuito al precariato"

La sinistra contro Matteo Renzi. Al centro della sfida il lavoro. Susanna Camusso paragona il presidente del Consiglio a Margaret Thatcher e a Silvio Berlusconi. Maurizio Landini dice che la riforma dei contratti “è una presa per il culo“. Nichi Vendola parla di una “cosa da estrema destra”. Ma quello che può preoccupare di più Renzi, il Pd e la maggioranza di governo sono le parole di Pierluigi Bersani, che è tornato a guidare la minoranza del partito: “Presenteremo molti emendamenti, sarà battaglia in Parlamento”. Il presidente del Consiglio, come al solito, non sopporta di rimanere nell’angolo: “A quei sindacati che vogliono contestarci – dice – chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l’ha e chi no, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi precario” perché “si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente”. Quindi non c’entra la Thatcher: “Sono i diritti di chi non ha diritti quello che ci interessa: li difenderemo in modo concreto e serio. Non siamo impegnati in uno scontro del passato, ideologico“, “non vogliamo il mercato del lavoro di Margareth Thatcher ma un mercato del lavoro giusto”, con “cittadini tutti uguali”. Con la riforma del lavoro il governo pensa “a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni, che vivono di co.co.pro. e co.co.co e che sono condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito preoccupandosi solo dei diritti di qualcuno e non di tutti”. 

Il Pd: “Non mancherà ascolto, ma no a ultimatum”
C’è chi assicura che quello della Cgil è un bluff, che lo sciopero non si farà, che l’autunno non sarà affatto caldo. Ma le premesse dicono che lo scontro è aperto. La Fiom, per esempio, ha già anticipato la 
manifestazione nazionale di una settimana, dal 25 al 18 ottobre, sempre di sabato. Un’accelerazione proprio in risposta alle decisioni sull’articolo 18. “Le discussioni aiutano a migliorarsi, l’importante è che non ci siano ultimatum o posizioni ideologiche. Abbiamo tutti l’ambizione di non ridurre i diritti e creare posti di lavoro” dice il sottosegretario a Palazzo Chigi Graziano Delrio da Atreju. Debora Serracchiani assicura che non “mancherà l’ascolto”, ma dal resto della squadra renziana i toni sono da bivio, da prendere o lasciare: “La sinistra italiana – commenta il sindaco di Firenze, Dario Nardella – deve decidere se essere una grande sinistra moderna, riformista di stampo liberal e innovatrice o una sinistra conservatrice ormai legata al modello diventato insostenibile del welfare del secolo scorso”. Qualcun altro come il deputato Andrea Marcucci derubrica tutto a “dibattito da cineforum”. Il presidente del partito, Matteo Orfini, che una volta era anti e ora è pro Renzi, ne fa una questione di merito: “Scioperi senza leggere il testo?”. Maurizio Sacconi, infine, ricorda a tutti che la maggioranza di governo non può fare a meno del suo lato destro (Ncd, Scelta Civica, centristi variopinti) e che il testo in discussione è frutto di un’intesa tra tutti. Qualcuno descriveva Renzi molto più preoccupato per la gestione della questione lavoro che non per l’inchiesta su suo padre. Come già accaduto per molti dei governi degli ultimi vent’anni, potrebbe diventare il suo problema principale.

Camusso: “Renzi ha in mente la Thatcher”. Landini: “Presa per il culo”
Matteo Renzi ha “un po’ troppo in mente” la Thatcher e sul lavoro è in “continuità” con Silvio Berlusconi. E sull’articolo 18, in definitiva, “è in gioco la libertà dei lavoratori”. E’ un’analisi, ma assomiglia a un piano d’attacco: il segretario della Cgil Susanna Camusso si prepara così alla “guerra” mentre sembra farsi più forte l’odore di sciopero per rispondere alla riforma del lavoro annunciata dal governo“Non capisco perché lo sciopero generale sarebbe un rischi, è una delle forme di mobilitazione possibile del sindacato” ha detto la Camusso inaugurando la nuova sede regionale del sindacato a Milano. Al momento non ci sono in agenda incontri tra governo e sindacati e d’altra parte il senatore Pietro Ichino (Scelta Civica), sostenitore delle misure che il governo Renzi vorrebbe introdurre, avverte, parlando a Mix24, che “bisogna fare la riforma del lavoro anche senza i sindacati, se i sindacati non capiscono l’importanza”. Ma il fronte è più largo e arriva alla Fiom, il cui segretario Maurizio Landini aveva avviato un confronto proprio con Renzi. “Il contratto a tutele progressive – dice Landini a margine dell’assemblea dei delegati Rsu di Ancona – è una presa per il culo se alla fine le tutele vengono cancellate”. 

Camusso: “Non stiamo difendendo noi stessi, ma la dignità di chi lavora”
Mi sembra che il presidente del consiglio abbia un po’ troppo in mente il modello della Thatcher” scandisce la Camusso. Le analogie con The iron lady stanno “nell’idea delle politiche liberiste estreme, nell’idea che è la riduzione dei diritti dei lavoratori lo strumento che permette di competere”. Secondo il segretario della Cgil “è il rovesciamento dei fattori che ricorda la stagione del liberismo le cui conseguenze l’Europa paga tutt’ora continuando a essere prigioniera di una linea di austerità che non ha risolto la crisi in nessun Paese”. Non solo. Per il segretario del principale sindacato italiano “c’è continuità” tra la riforma del mercato del lavoro di Renzi e le politiche del governo di Silvio Berlusconi“. Una continuità, dice, “lunga nel tempo”. Il segretario generale spiega che l’errore è “immaginare che la destrutturazione delle forme di assunzione contrattuale sia un elemento che permette competitività nel mercato del lavoro”. A chi le chiede se non si senta una conservatrice, Camusso dice che “non stiamo difendendo noi stessi, ma la dignità di chi lavora”. Lo statuto dei lavoratori, sottolinea Camusso va difeso perché ” è il miglior frutto della nostra storia repubblicana e noi non ci rinunciamo”.

Quanto all’articolo 18 “non stiamo difendendo noi stessi: chi vorrebbe cancellare l’articolo 18 sta cancellando la libertà dei lavoratori”. Più in generale sul tema della riforma dello statuto dei lavoratori, Camusso ha spiegato che il sindacato vuole lanciare la sfida “al Governo e al Parlamento che sta legiferando su questo tema”. “Il Governo sta sbagliando se pensa che il tema più urgente di questa stagione sia quello del mercato del lavoro – ha proseguito – Siccome ci pare che il governo abbia intenzione di ridurre i diritti e di estendere l’area di precarietà noi stiamo dicendo che bisogna costruire invece diritti universali. E’ in questo senso che lo statuto dei lavoratori va aggiornato, non cambiato e nemmeno buttato via”. Secondo Camusso lo statuto ”non è troppo vecchio ma è la base dei diritti fondamentali”.

Landini: “Ma il governo cancella co.co.co. e tirocini sottopagati?”
Non meno severo è il giudizio di Landini. “Lo dice la parola stessa: se vuoi dare tutele progressive a tutti alla fine ci devono essere più tutele per tutti – dichiara – che tutela progressiva è, è una tutela regressiva, perché di fatto si vogliono cancellare i diritti per tutti”. Landini contesta non solo l’ipotesi di cancellazione dell’articolo 18 ma anche gran parte dell’impianto della riforma del lavoro prospettata dal Governo Renzi. “Se faccio un nuovo contratto unico a tempo indeterminato – chiede il segretario Fiom all’esecutivo – rimangono altre 46 tipologie di lavoro? Le cancella il Governo le collaborazioni continuate e continuative, il lavoro a chiamata, lo staff leasing, i tirocini dove la gente è sottopagata? Diventano 5 o 6 le forme con cui si entra al lavoro e dentro c’è anche un contratto a tutele progressive? Benissimo, tutta questa discussione siamo pronti a farla”. Ma, ha sottolineato, “mi devono spiegare perché vogliono modificare lo Statuto dei lavoratori sul demansionamento, o sul controllo a distanza. A chi serve, chi l’ha chiesto, la Confindustria? E’ forse quello il problema delle imprese”. “Perchè – ha detto ancora – il governo non chiede agli imprenditori di riprendere a fare gli investimenti, di riportare i capitali in Italia, di fare cioè il loro mestiere, e non si rivolge anche a quelli che non l’hanno fatto in questo periodo? Renzi fa il duro con i lavoratori e gli vuole togliere diritti, ma non è in grado di farlo con chi in questo Paese se ne sta andando e investe dalle altre parti”.

“Renzi deve dimostrare quanto è figo all’Europa”
Per Landini 
“sull’articolo 18 Renzi deve dimostrare quanto è ‘figo’ all’Europa. Forse qualcuno gli ha fatto credere che in cambio può sforare dello 0,1 o 0,3% e Draghi gli darà qualcosa”. “Cancellare la reintegra in caso di licenziamento ingiusto, sostituendola con un po’ di soldi – ha aggiunto – è una follia pura ed è contro i principi della nostra Costituzione. Lo Statuto dei lavoratori ha significato far entrare la Costituzione nelle fabbriche: perché il lavoro è un diritto e uno deve avere la dignità di poterlo fare, senza essere licenziato per le idee che ha, o perché fa il sindacalista o per il sesso che ha”. E comunque “dire che in Europa l’articolo 18 non c’è è un’altra sciocchezza” secondo Landini. “La cosa vera è che il Governo sta cedendo ad un ricatto” e continua a “non affrontare il vero problema del Paese. Non è che le imprese non assumono perché c’è l’articolo 18: non assumono perché non hanno da lavorare e di questo si dovrebbe preoccupare il Governo”. 

Landini annuncia che “faremo sciopero e non solo. Stiamo pensando a forme innovative di mobilitazione che siano in grado di mettere assieme anche quelli che il lavoro non ce l’hanno, i precari, i cassintegrati. Ci stiamo ponendo il problema non solo della mobilitazione sociale dentro le fabbriche ma anche della mobilitazione sociale fuori, perché a differenza del Governo noi vorremmo davvero provare a unire tutti quelli che hanno bisogno di lavorare e impedire la competizione fra quelli che lavorano”.

La sinistra Pd prepara emendamenti: “Così a rischio i diritti”
Intanto la sinistra Pd si organizza. Di buon mattino si è tenuta una riunione dei bersaniani – che già avevano fatto sentire la propria voce – dove si è discusso dell’atteggiamento da tenere martedì 23 in Aula in Senato e dei possibili emendamenti. In particolare verranno presentati emendamenti che precisano che tra le tutele di cui beneficeranno i nuovi assunti dopo tre anni di contratto, c’è anche il reintegro in caso di licenziamento discriminatorio. Oltre a Bersani erano presenti Guglielmo EpifaniAlfredo D’Attorre e diversi senatori. “Saranno presentati molti emendamenti – dice Pierluigi Bersani a Radio Monte Carlo – non solo sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto, perché se l’interpretazione è quella sentita da Sacconi e altri, allora non ci siamo proprio. Andiamo ad aggiungere alle norme che danno precarietà ulteriore precarietà, andiamo a frantumare i diritti, non solo l’art.18 e allora sarà battaglia”. “Altro che modello tedesco, Renzi rischia di frantumare i diritti dei lavoratori” ha aggiunto. L’ex segretario del Pd sottolinea che “Renzi vuole avvicinarsi al modello tedesco ma così facendo ci stiamo allontanando da quel modello, in questi giorni c’è spazio per riflettere e per fare una riforma seria che riconosca i diritti dei lavoratori e non li cancelli o li frantumi. La riforma ci vuole ma deve essere seria e non certo una bandierina da sventolare di fronte agli elettori o all’Europa“. 

Bersani: “Renzi rischia di spezzare la corda”
Renzi rischia di spezzare la corda? “Certo, è possibile – ha risposto Bersani – ma spero proprio di no, dobbiamo trovare un equilibrio tra capitale e lavoro: è questa l’essenza del riformismo. Il Governo deve capire che siamo davanti a un punto molto sensibile, io feci una battaglia simile sui diritti dei lavoratori anche durante il governo Monti quando lo spread era alle stelle: la Riforma non passò ma non ci fu alcun disastro. Adesso dobbiamo trovare un accordo. Mi viene da ridere quando sento parlare di tabù da infrangere o bandierine sull’articolo 18”.

Sacconi: “Legge frutto di accordo”. Bersani: “Bandierine Ncd non problema del Pd”
La situazione è delicata per l’intera maggioranza: “Ricordo a chi ritiene che il Pd rappresenti tutto l’universo politico e sollecita mediazioni interne da imporre agli altri – afferma il capogruppo di Ncd al Senato Maurizio Sacconi – che il nuovo testo della legge delega è frutto di un accordo tra Governo, relatore e maggioranza. E nella maggioranza Ncd, Scelta Civica, Udc, Popolari per l’Italia, sudtirolesi hanno condiviso la stessa posizione incontrando analoga volontà riformatrice nel ministro e soprattutto nel presidente del Consiglio”. La replica è proprio di Bersani: “Se Sacconi deve innalzare una bandiera, lo faccia pure, è un suo problema, non certo può essere un problema del Pd che piuttosto deve pensare solo a riformare l’Italia”

Vendola: “Il Jobs act è una cosa di estrema destra”
Tutta la “sinistra-sinistra” è sui blocchi di partenza. Nichi Vendola, leader di Sel, parla di “deriva orwelliana” perché “si prova ad adoperare un vocabolario suadente per nascondere autentiche porcherie. Il Jobs Act è una cosa di estrema destra, contempla la precarizzazione generalizzata del mercato del lavoro, è il contrario di quello che bisognerebbe fare”. Ieri, 18 settembre, Sel ha lasciato la commissione Lavoro del Senato in segno di protesta. “Si esce dalla crisi – ha aggiunto Vendola – dando più reddito e più tutele al mondo del lavoro e immaginando di lottare per un mondo in cui il lavoro formato permanentemente, versatile, è un lavoro ricco. Invece siamo ancora a sentire le sirene del Fmi, di questa simpatica banda che ieri ha suonato nel suo concertino una cosa che avevamo già sentito, che non basta la spending review, non basta tagliare di 20 miliardi di euro sanità e non so quanti settori del welfare: bisogna intervenire sulle pensioni. Ma guarda non ci avevano ancora pensato…”.

Gay, Giovani industriali: “L’articolo 18 non è la priorità”
Tutti si agitano nella consueta lambada sull’articolo 18 e chi si tira fuori sono gli industriali. La flessibilità nel mercato del lavoro “serve” al Paese, dice il presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Marco Gay, ma l’articolo 18 “non è il primo oggetto da mettere sul tavolo”. “Bisogna parlare prima di politiche attive e poi di come gestire al meglio la flessibilità in uscita”, spiega all’AdnKronos, e soprattutto, “non serve lo scontro ideologico”. Per un giudizio più compiuto sulla delega, spiega, “è necessario attendere per vederne con più chiarezza gli effetti”. Certo, aggiunge il leader dei giovani di Confindustria, “la flessibilità nel mercato del lavoro è una priorità per il Paese e non perché ce la indica la Ue” e “l’interesse primario è quello di semplificare il mercato del lavoro, agevolando la possibilità di fare impresa e di far crescere le imprese che già ci sono”.