Scuola

Informatica: dal coding al pensiero computazionale

Il nuovo piano per la scuola che Renzi ha preannunciato a metà agosto prevede, tra le altre cose “informatica dalla primaria”.

Ed è subito partita una discussione sui vari mezzi di comunicazione. Un paio di interventi tra quelli che ho letto (ce ne sono molti altri): i professori sono pronti? Potrebbe essere la vera rivoluzione dell’anno scolastico ed una risposta alla crisi. In generale se ne parla come di insegnare il “coding”, usando un termine americano per il quale non mi turbo (uso frequentemente l’inglese nel mio lavoro) ma rispetto al quale ritengo opportuna una riflessione.

Per i non addetti ai lavori chiarisco che con la parola “coding” si intende, in informatica, la stesura di un programma, cioè di una di quelle sequenze di istruzioni che, eseguite da un calcolatore, danno vita alla maggior parte delle meraviglie digitali che usiamo quotidianamente. Capisco che questo termine generi meno confusione del corretto ed usatissimo equivalente italiano “programmazione”, ma spendo solo questo inciso per invitare i nostri cervelli a non essere pigri: usare la nostra lingua significa sostenere la nostra identità sociale e culturale.

Il punto è che l’uso dell’espressione americana rischia di fuorviare il discorso.

Penso che ormai nessuno, discutendo dell’insegnamento della matematica nella scuola, parli più di “insegnare le tabelline”. Si insegna la matematica nelle scuole soprattutto per i suoi aspetti culturali. Parlare quindi, a proposito di informatica, dell’imparare a scrivere i programmi per i calcolatori non significa contribuire a far chiarezza nella discussione.

Il fondamentale contributo culturale apportato dall’informatica alla società contemporanea è definito in modo sintetico dall’espressione pensiero computazionale, introdotta dalla scienziata informatica Jeannette Wing nel 2006. Ecco l’articolo originale in inglese.

Il pensiero computazionale è un processo mentale per la risoluzione di problemi costituito dalla combinazione di metodi caratteristici e di strumenti intellettuali, che hanno tutti valore generale. Discuteremo nei prossimi giorni di quali sono questi metodi e strumenti. Essi sono importanti per tutti i cittadini non solo perché sono direttamente applicati nei calcolatori, nelle reti di comunicazione, nei sistemi e nelle applicazioni software ma perché sono strumenti concettuali per affrontare molti tipi di problemi in molte discipline.

Nel corso del secolo passato, un fattore chiave per lo sviluppo della moderna società industriale è stato l’inclusione di discipline quali la matematica, la fisica, la biologia e la chimica come materie obbligatorie nella scuola secondaria, con un’introduzione ad esse effettuata nella primaria.

Questo non per far diventare tutti gli studenti dei matematici, fisici, biologi o chimici. Tutt’altro: perché la società aveva riconosciuto la necessità che ogni cittadino conoscesse i concetti di base di queste scienze. Infatti, non c’è tecnologia né una vera economia senza la matematica, non c’è ingegneria senza fisica e chimica, non c’è medicina senza biologia.

Nella società contemporanea la cui tecnologia dipende in misura fondamentale dall’informatica, e tanto di più quanto più la presenza dei calcolatori diventa pervasiva, avere familiarità con i concetti di base dell’informatica come materia scientifica è un elemento critico del processo di formazione dei cittadini.

Per essere adeguatamente preparato a qualunque lavoro vorrà fare da grande, a uno studente è ormai indispensabile una comprensione dei concetti di base dell’informatica. Esattamente com’è accaduto nel secolo passato per la matematica, la fisica, la biologia e la chimica.

I benefici del “pensiero computazionale“ si estendono a tutte le professioni. Medici, avvocati, dirigenti di azienda, architetti, funzionari di amministrazioni – solo per citarne alcune – ogni giorno devono affrontare problemi complessi; ipotizzare soluzioni che prevedono più fasi e la collaborazione con altri colleghi o collaboratori; immaginare una descrizione chiara di cosa fare e quando farlo.

Qualche mese fa discutevo, su queste colonne, della rivoluzione informatica come sintesi delle due grandi precedenti rivoluzioni sociali: quella della stampa e quella industriale. E come loro superamento, perché si tratta di una rivoluzione che incide sul piano cognitivo delle persone.

Senza una vera comprensione delle fondamenta culturali e scientifiche della disciplina informatica, che è alla base delle tecnologie digitali, rischiamo – soprattutto in Italia – di essere consumatori passivi ed ignari di tali servizi e tecnologie, invece che soggetti consapevoli di tutti gli aspetti in gioco ed attori attivamente partecipi del loro sviluppo.

Non è un caso che qualche anno fa, in un convegno significativamente denominato “Informatica: Cultura e Società”, si sosteneva l’importanza di dare più spazio alla cultura informatica nella scuola e nella società italiane.

Potrebbe essere davvero una soluzione per la crisi.

(Questo articolo usa in parte quanto scritto nel rapporto “Informatics Education in Europe: Europe cannot afford to miss the boat“. Ringrazio inoltre Giorgio Ventre per il suo contributo)