Giustizia & Impunità

Riforma della giustizia: cause troppo lunghe, di chi è la colpa?

In attesa del Big Bang (l’annunciata ripartenza renziana col botto) leggiamo con piacere alcune timide esternazioni propositive del Guardasigilli che preludono allo sviluppo dei 12 punti della riforma renziana della giustizia.

In Italia abbiamo un carico pendente processuale mostruoso (oltre 5 milioni), gran parte del quale concerne i processi civili. Molti concentrano l’attenzione sui processi penali, i politici soprattutto perché sanno di poterne essere coinvolti.

Sono invece i processi civili ad essere fondamentali per l’esistenza delle persone, decidendo la sorte di un matrimonio, di una convivenza more uxorio, di un affidamento, di un’adozione, di una curatela, di un amministratore di sostegno, di un creditore che potrà continuare a sopravvivere solo se riuscirà a recuperare un suo dato credito, di un proprietario di una casa ove necessiti di rientrare in possesso dell’immobile dall’inquilino moroso, di un mutuatario o di un correntista ove si sia accorto di avere versato decine di migliaia di euro all’ennesima banca usuraria.

I processi civili sono centrali per la vita di tutti noi. Ed è raro che chi sia uscito da una causa possa raccontare di avere vissuto un’esperienza straordinariamente felice. Vi svelerò subito che per i magistrati vigono termini dilatori (ossia decidono quando gli aggrada) mentre per gli avvocati i termini sono perentori. I magistrati incorrono in responsabilità virtuali (azione indiretta, peraltro col filtro), gli avvocati in responsabilità reali (azione diretta e senza filtro). I magistrati non hanno orari (perché possono apparire in tribunale alle 9,30 e sparire alle 12,30?), gli avvocati si impongono orari ferrei per osservare tutte le scadenze perentorie e le ire dei clienti.

Quanto alla durata temporale di una causa vige una leggenda metropolitana secondo cui “le cause son lunghe per colpa degli avvocati”, tant’è che si è formato l’aforisma “causa che pende, causa che rende”. Ma spiegherò perché è infondata.

Partiamo dalla principale argomentazione: il processo civile è governato esclusivamente dal giudice. Non dagli avvocati. I tempi processuali sono dettati dal giudice. Il codice di rito (processuale civile) consente solo agli avvocati nelle cause ordinarie di fissare la prima udienza nel rispetto del termine di almeno 90 giorni dalla notifica (o dimezzato se dinanzi al giudice di pace o su richiesta). Spesso però tale udienza indicata dal difensore a circa 90/100 giorni viene poi spostata d’ufficio dal tribunale, sovente alle calende greche!

Nel caso di altri riti processuali (introdotti col ricorso e non con atto di citazione) è direttamente il giudice a fissare la prima udienza e di rado avviene a breve, anche in riti che pretenderebbero la massima celerità. Spesso mi è capitato di assistere sgomento a fissazione di udienze a 120, 150, 180 giorni in processi quali il ricorso cautelare d’urgenza o l’Accertamento Tecnico Preventivo (Trib. Prato) o quali il processo sommario di cognizione ex art. 702 bis cod. proc. civ.(ancora Trib. Prato; Trib. Acqui Terme) che pretendono celerità, altrimenti vanificando i diritti delle parti. Dinanzi a tali comportamenti negligenti l’avvocato è inerme, potendo limitarsi a fare un’istanza dove evidenzia l’urgenza. Istanze sempre rigettate.

La forma del processo è poi a dir poco barocca e distante abissalmente da una definizione pragmatica della lite e dunque dei diritti. Alla prima udienza quasi mai il giudice mostra di conoscere il fascicolo (che spesso non ha neppure aperto), così limitandosi a concedere i termini per le memorie (tra cui quelle istruttorie). Segue l’udienza in cui si dovrebbe discutere di queste istanze e/o delle eccezioni. A questa fondamentale udienza il giudice mostra ancora una volta di non conoscere il fascicolo tant’è che nove volte su dieci si riserva di decidere. A quel punto il giudice, senza che incorra in alcun termine perentorio, con calma decide. Passano i mesi nella quiete e nella sospensione dei diritti. Nello stesso modo i giudici depositano la sentenza quando gli aggrada perché il termine loro è dilatorio. Il risultato è che spesso trascorrono almeno 3 mesi sino a 1 anno.

I giudici abusano delle nomine dei consulenti tecnici (allibente e abnorme la prassi nel diritto di famiglia) spesso delegandogli di fatto le decisioni. E le parti processuali pagano, inermi.

Le vendite degli immobili vengono delegate onerosamente e senza veri controlli all’Istituto Vendite Giudiziarie per anni (e difatti non hanno interesse a che l’immobile si venda) e le parti processuali pagano. Gli avvocati non sono pagati a cottimo (il tariffario “a udienza” non vige da molti anni) e non hanno intenzione alcuna ad allungare il brodo ma soprattutto non ne hanno il potere.

Riformare la magistratura verso una maggiore responsabilità, organizzazione e diligenza (anche se nessuno pretende che siano virtuosi e brillanti come il dott. Buffone e la dott.sa La Monica di Milano) è il primo passo da affrontare per dimezzare i tempi delle cause. Perché dunque l’avvocatura è chiamata a rispondere delle negligenze altrui?

Alziamo dunque un velo sulle leggende metropolitane e sul Vaso di Pandora!