Economia

Governo Renzi, Poletti: “Sì a contributo di solidarietà sulle pensioni alte”

Il ministro del Lavoro, in un'intervista al Corriere, apre alla sforbiciata sugli assegni per trovare risorse per gli esodati. Ancora da decidere dove verrà "fissata l'asticella", cioè se saranno colpiti solo gli assegni davvero "d'oro". No all'abolizione dell'articolo 18: "Sarebbe in contraddizione con la linea decisa dal governo". Meglio partire dagli articoli della Costituzione che tutelano le finalità sociali dell'impresa e riconoscono il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione

Sì a un contributo di solidarietà sulle pensioni alte. E al ricalcolo con il metodo contributivo di quelle basate sul vecchio e generoso retributivo. Ad aprire alla sforbiciata è il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in un’intervista al Corriere della Sera. “Sono favorevole a interventi di questo tipo a patto che siano collegati agli interventi a sostegno dei lavoratori che altrimenti rischierebbero di finire esodati“, chiarisce il ministro. “Credo cioè che le risorse eventualmente recuperate” dovrebbero “restare nel sistema previdenziale in una logica di solidarietà per chi soffre di più. Ipotesi ne sono state fatte tante in passato. Adesso bisognerà fare delle scelte”. Cioè individuare chi si vedrà decurtare l’assegno. Quelli davvero “d’oro”, infatti, non sono molti: sono circa 11.600 i pensionati italiani che si mettono in tasca più di 10mila euro al mese. Colpendo solo loro, l’effetto sui conti sarebbe trascurabile. Ma, spiega Poletti, “dipende da dove si fissa l’asticella“. Tradotto: il taglio potrebbe scattare a partire da cifre più basse. Tutto è ancora da decidere.

Quanto alla polemica agostana sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, scatenata da Angelino Alfano e ridimensionata dal premier Matteo Renzi, il titolare del Lavoro ed ex presidente di Legacoop sembra escludere interventi: “Sarebbe in contraddizione con la linea decisa dal governo” e “se ci infiliamo nel solito braccio di ferro sull’articolo 18 non portiamo a casa nulla”. Peraltro “nessuno nella maggioranza chiede” di toglierlo del tutto. Più che partire da lì, cioè dalle norme sui licenziamenti, “sarei per partire dall’art. 41 della Costituzione che tutela l’impresa e le sue finalità sociali e dall’art.46 che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’azienda”. Occorre insomma “uscire dal vecchio conflitto impresa-lavoro” e “ragionare su partecipazione responsabile, condivisione, cooperazione“.

L’esecutivo peraltro ha già scelto un’altra strada, “una strategia in due tappe”: prima il decreto Lavoro “che prevede interventi su contratti a termine e apprendistato“, poi “il disegno di legge delega nel quale affronteremo tutti gli aspetti del mercato del lavoro, riscrivendo lo statuto, come ha detto Renzi, dagli ammortizzatori alla revisione dei contratti, compresa l’introduzione del contratto di inserimento a tutele crescenti”. Tuttavia “non basta introdurre il contratto a tutele crescenti se non si rende il contratto a tempo indeterminato, e il contratto a tutele crescenti lo è, un contratto meno oneroso per l’impresa, alleggerendo il carico fiscale e contributivo”, così da renderlo più interessante del contratto a termine senza causale. 

Sul fronte fiscale, sì al taglio dell’imposta sulle attività produttive: “L’Irap va ridotta perché oltretutto ha l’insana caratteristica di colpire le imprese a più alta intensità di lavoro”. “Ma anche qui non si scappa: dovremo fare i conti con le risorse disponibili”.