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Ebola, Chantal e gli altri

Si chiamava Chantal Pascaline. Una delle ormai circa mille vittime di ebola. É morta all’ospedale Saint-Joseph di Monrovia, in Liberia. Era congolese, era una suora dell’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio. Ed era collega di padre Miguel Pajares, il missionario spagnolo rimpatriato d’urgenza il 6 agosto, il primo europeo ad aver contratto il virus. Insieme a loro due, un terzo membro dell’équipe medica si era ammalato, la guineana suor Paciencia Melgar, anche lei – come Chantal – della congregazione delle Missionarie dell’Immacolata Concezione, al servizio della missione spagnola. Padre Miguel, prima di essere rimpatriato d’urgenza, aveva chiesto che con lui partissero anche le due suore. La stessa richiesta era stata avanzata dal suo ordine religioso al ministero degli esteri spagnolo. Il permesso è stato negato. E suor Chantal è morta.

Sul volo militare appositamente attrezzato per il rientro di padre Miguel, viaggiava invece Juliana Bonoha, religiosa spagnola, che lavorava con lui e i cui test hanno poi dato esito negativo. La cugina del missionario aveva dichiarato a una trasmissione radiofonica spagnola: “Ci auguriamo che le suore non vengano abbandonate là, perché sappiamo cosa le attende. Come dice Miguel, sono condannate a morire, e noi non possiamo lasciare che accada”.

E invece è accaduto. Come da copione, perché non sia mai che un paese occidentale si prenda carico di un non-connazionale, specie in casi critici come questo. Si potrebbe obiettare che sono ormai migliaia gli infettati, condannati ad una morte quasi certa, e che mica ce li possiamo portare tutti qui. Certo. Ma che differenza potevano fare le due suore? Perché negare almeno a loro – che si erano prodigate per mesi ad accudire gli altri contagiati – la possibilità di cure?

Lascio a voi i commenti da “occidentali”, che mi immagino già. Voglio invece riportarvi alcuni dei commenti che gli africani stanno facendo sui social in queste ore. Scrive Adalbert: “Non è una novità, ogni volta che c’è un problema in Africa vengono a recuperare i loro e lasciano morire gli africani. Ma quando si tratta di derubare l’Africa, sono i primi!” Per Jean Marie, la Spagna è colpevole di discriminazione, per Jean di razzismo, per Senghor di segregazione razziale e aggiunge: “Pensate che se suor Chantal fosse stata bianca avrebbe subito la stessa sorte?”

Se lasciamo la Spagna e ci spostiamo verso gli Stati Uniti, dove sono sottoposti a cure intensive i due operatori sanitari, missionari dell’ong Samaritan’s Purse , evacuati dopo aver contratto il virus, lo scenario non cambia. I due hanno goduto di un trattamento sperimentale con un vaccino ancora non commercializzato e le loro condizioni sono date in netto miglioramento. I commenti dei giornali e dei social dell’Africa occidentale non si discostano da quelli che vi ho appena citato. C’è chi lamenta che il personale medico locale non abbia potuto avere la stessa cura, nemmeno gli specialisti di fama che da mesi si stavano battendo per contenere la diffusione dell’ebola e che ne sono morti, come il virologo sierraleonese Sheik Umar Khan, considerato un eroe nazionale per aver salvato almeno cento malati, prima di morire lui stesso.

Su twitter è stato lanciato l’hashtag #giveustheserum, “dateci il siero”, con riferimento proprio al vaccino sperimentale Zmapp somministrato ai due statunitensi, prodotto dall’azienda di San Diego Mapp Biopharmaceutical.

Twitta Mustafi: “Ebola fa devastazioni in Africa da cinque mesi, due americani vengono infettati e hopp! Abbiamo un vaccino per miracolo”. Gli fa eco Erich: “Dunque sapevano come guarire l’ebola. È stato necessario che due americani ne soffrissero perché tirassero fuori il vaccino”. Sally: “È una realtà e noi la vogliamo”. Tété: “Non c’è tempo da perdere. Dateci il vaccino”. Odiase: “Se è etico per americani e spagnoli avere il farmaco per l’ebola, perché non è etico per gli africani? Nel 2014? Vergogna!”

Posto che il vaccino in questione è ben lontano dall’essere commerciabile, e che non è l’unico in fase sperimentale, resta la questione etica di fondo: chi ha diritto alla sperimentazione? Chi ha diritto alle cure?