Cinema

Le cose belle, quattro vite 10 anni dopo. Il documentario sui diversamente magnifici

Un grande film, piccolo solo per durata (88 minuti), realizzato con difficoltà nell’arco di quattro anni, senza novità strutturali (non è raro al cinema ritornare ai propri personaggi a distanza di anni), soprattutto senza pietismi e vittimismi: “Le loro esistenze – rilevano gli autori – sembravano ferme, cristallizzate, senza prospettive di miglioramento”

1999, Napoli. Agostino Ferrente (L’Orchestra di Piazza Vittorio) e Giovanni Piperno (Il pezzo mancante) realizzano per Rai Tre il documentario Intervista a mia madre, mettendo davanti alla macchina da presa quattro adolescenti, Fabio, Enzo, Adele e Silvana, e il loro interrogativo vecchio come il mondo: che ne sarà di noi? 2009, Napoli. Ferrente e Piperno tornano sui propri passi o, meglio, su quelli di Fabio, Enzo, Adele e Silvana: che ne è (stato) di loro? I registi, e prima ancora la realtà, rifiutano l’happy end: “Questa esperienza ci ha definitivamente confermato che difficilmente un documentario può cambiare una vita, però i nostri protagonisti attraverso questo film possono essere più consapevoli di quante cose belle scaturiscano dalle loro esistenze, nonostante tutto”.

E Le cose belle è proprio il titolo del nuovo documentario, prodotto da Pirata M.C., Parallelo 41, Point Film con Bianca Film e Ipotesi Cinema, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, meritato vincitore di tanti riconoscimenti, tra cui Miglior documentario italiano del 2013 a Doc/it. Un grande film, piccolo solo per durata (88 minuti), realizzato con difficoltà nell’arco di quattro anni, che senza novità strutturali (non è raro al cinema ritornare ai propri personaggi a distanza di anni), soprattutto senza pietismi e vittimismi ritrova quattro che come tanti, come tutti si pensavano magnifici e come quasi tutti crescendo si sono scoperti diversamente magnifici: “Le loro esistenze – rilevano gli autori – sembravano ferme, cristallizzate, senza prospettive di miglioramento”.

Silvana sognava di fare la modella, stava con il padre ex carcerato, la madre se n’era andata: dieci anni dopo ha ancora un rapporto conflittuale con la madre, compagni che vanno e vengono, la chimera della moda abiurata nella vendita di cosmetici porta a porta. A scuola Adele andava male, perché non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno dai professori: si sentiva autenticamente se stessa, si riusciva a esprimere davvero solo ballando. Due lustri più tardi è diventata madre, vorrebbe rifarsi il seno come il fratello che ha cambiato sesso, ma balla ancora: non per realizzarsi, ma per realizzare qualche soldo in un night club.

Fabio vive con la madre, ha perso il fratello e lavora saltuariamente, dove e come capita, senza ammazzarsi: sciarpe e cappellini spacciati invano allo stadio, qualche espediente, fino all’incontro con Enzo, che all’epoca di Intervista a mia madre cantava Passione nelle osterie accompagnato alla chitarra da papà e ora fa il piazzista di Tele2. Il sol dell’avvenire non li ha abbronzati, e già i corpi, gli sguardi denunciano i rovesci e i manrovesci che Napoli, e l’Italia, hanno tenuto in serbo per loro: si empatizza, si riflette, ma Ferrente e Piperno inibiscono la compassione, quella pacca sulla spalla che solleva gli animi e scarica le coscienze degli spettatori.

Non c’è buonismo, piuttosto la strenua ricerca delle cose belle “nonostante tutto”. Senza fare di Napoli il carnefice o il capro espiatorio, senza caricare di pelose metafore sociologiche il destino dei quattro, i due registi cambiano passo, scambiando gli sguardi in macchina e il potere alla parola dell’Intervista con la vita nel suo (di)sfarsi e l’azione cinematografica de Le cose belle: una scelta azzeccata, sintomatica, perché oggi chi darebbe voce, microfono e primo piano in macchina a Fabio, Enzo, Adele e Silvana? Appunto, solo chi li aveva già conosciuti e non ha voluto dimenticarli.

Le cose belle è ottimo cinema strappato alla realtà, andrebbe obbligatoriamente fatto vedere a chi ci governa, Renzi in primis, perché altrimenti la Passione è solo una canzone sui titoli di coda. Dieci anni dopo, ed è troppo tardi: per tutti.

Il trailer