Società

Politica, il coraggio di dire ‘no’

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere la reazione dell’Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti che, senza molti imbarazzi, ha dichiarato che non sarebbe disponibile a vedersi ridurre lo stipendio che ammonta a quasi 900mila euro annui; e a nulla sono valsi i richiami alla situazione di indigenza di molte persone oggi in Italia e al fatto che in passato Moretti avesse lavorato in Cgil, il sindacato dei lavoratori.

Il distacco degli elettori dalla politica si è amplificato da quando la cultura neoliberista, vincente da oltre trent’anni, non solo ha permeato l’intera nostra vita ma, danno ben più grave, è lentamente colata sulla sinistra italiana, non su tutta ma su una parte, insinuandosi nei suoi interstizi e andando a colmare quei vuoti che intanto scavava inesorabilmente. Impreparati al terremoto neoliberista, alcuni esponenti di quello che fino a qualche tempo prima era il Partito comunista italiano si immergevano senza troppe resistenze in quello che sarebbe poi divenuto un quasi modello unico italiano. Come spiegare l’imbarazzo di chi osserva i divi della televisione di sinistra percepire compensi stagionali che un operaio ottiene in una vita, senza che nessuno osi protestare? Provai una volta io a farlo e un’amica, convinta elettrice del Pd, se ne ebbe a male e così si difese: “Sì, prendono molto ma fanno guadagnare molto la Rai“. Notai che la sua adesione alle leggi del mercato era tale che la possibilità di formulare un pensiero alternativo non la sfiorava nemmeno. Un pensiero che poteva concretizzarsi nella proposta che i tre quarti del compenso andassero a rimpinguare i magri stipendi dei lavoratori Rai che realizzavano il programma o andassero a un fondo per sviluppare programmi indipendenti in futuro.

Pensateci: questo tipo di proposte non è formulato più da nessuno e chi dovesse avere il coraggio di proporle viene emarginato e bollato come obsoleto. L’altruismo e la fratellanza confinati nel volontariato, bellissima e irrinunciabile pratica che non si capisce perché non può ritornare a essere politica. Che è anche l’epilogo del grande documentario Il fare politica – Cronaca della Toscana rossa (1982-2004) di Hugues Le Paige, che segue quattro iscritti a una sezione del Partito comunista di San Casciano Val di Pesa per alcuni anni, per terminare con un’intervista all’attivista di lunga data Fabiana che, come molti, ha scelto di dedicarsi al volontariato perché il “fare politica” non ha più il significato di voler cambiare il mondo che aveva prima: l’utopia realizzabile appunto.

Se Sergio Marchionne percepisce uno stipendio 435 volte più alto di quello di un operaio Fiat, e alcuni conduttori televisivi che si definiscono di “sinistra” dal canto loro percepiscono un compenso anche 100 volte superiore a quello di un operaio Rai, è bene ricordare che lo stipendio di Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat dagli anni quaranta agli anni sessanta era, e a questo punto possiamo dire solo, 20 volte più elevato di quello di un operaio di allora. Valletta più a sinistra della sinistra? Evidentemente no. Questo esempio dà però lo spunto per prendere definitivamente le distanze da un’epoca, la nostra, che se vista con una prospettiva diversa procurerebbe sentimenti di imbarazzo, o meglio, di vergogna per gli squilibri sociali che invece di ridursi vanno aumentando. Se ne parla poco, troppo poco. I dati, ma ancor più i racconti di come si vive, ad esempio, con una pensione minima, il fatto che questa condizione di sostanziale indigenza coinvolga un numero impressionante di persone vengono relegati a qualche pagina dei quotidiani che non sono letti dalle persone che si trovano in queste condizioni di difficoltà.

Quante donne e quanti uomini che percepiscono la pensione minima leggono un quotidiano regolarmente? Pochissimi, probabilmente. Dove trovano allora spiegazioni alla loro sofferenza, da dove ricavano informazioni che li riguardano, da chi ascoltano progetti che possano fornire loro la speranza per continuare? La televisione è spesso l’unico canale di relazione con il mondo. Quella televisione portatrice di un modello che, se talvolta può consolare dalla solitudine, più spesso diffonde ansia e rabbia, essendo ormai insopportabile la falsità della rappresentazione che pare negare milioni di vite reali, cancellandole ostinatamente dallo schermo.

C’è bisogno di una nuova narrazione del presente, c’è urgenza di donne e uomini che riacquistino l’abilità immaginativa, che osino pensare progettare e realizzare un mondo centrato sulla persona e non più sul denaro.