Cronaca

Caso Moro: via Fani, quello che già sapevamo

Sono passati quasi 36 anni dal 16 marzo 1978 e finalmente arriva la testimonianza, post mortem, di uno degli agenti del Sismi presenti in via Fani. Non per proteggere la vita di Moro (quelli sono stati uccisi), ma le Brigate rosse che, come già sapevamo, non erano in grado di gestire un’operazione militare di tale livello e pertanto andavano aiutate, anzi “protette da disturbi di qualsiasi genere”. L’obiettivo? Eliminare dalla scena politica il leader Dc favorevole al compromesso storico, ovvero al coinvolgimento del Pci a livello di governo. C’era la “guerra fredda” e l’Italia non si poteva permettere un simile strappo. Per una strana coincidenza la rivelazione arriva nei giorni in cui il film di Veltroni su Berlinguer ci fa sapere che, nonostante la linea della “fermezza” proclamata dal più amato dei segretari comunisti, il Pci cominciò a morire durante il sequestro Moro. In realtà cominciò a morire anche la Dc ma ci vollero altre 5 stragi, quelle degli anni Novanta, perché uscisse di scena.

La verità è affidata a una lettera anonima, ingrediente d’obbligo in ogni spy story, di cui si occupò senza venirne a capo un ex ispettore dell’antiterrorismo, Enrico Rossi, 56 anni, che seguendo i sassolini indicati nella missiva era quasi arrivato alla soluzione del giallo quando una mano (superiore) lo ha bloccato. L’indagine è durata un anno, dal 2011 al 2012, poi l’ex ispettore è stato costretto a fermarsi e ha chiesto di essere collocato anticipatamente in pensione. Nel frattempo era riuscito a identificare i due agenti a bordo sulla misteriosa moto Honda, che entrò in azione all’incrocio tra via Fani e via Stresa: seduto sul sellino posteriore era l’autore della lettera anonima, nel frattempo morto di cancro, aveva il volto coperto dal casco e sparò una raffica di mitra contro l’ingegnere Marini, che intralciava la scena del delitto. Alla guida c’era invece un giovane dal volto scavato che assomigliava in modo impressionante a Eduardo De Filippo.  

L’ispettore Rossi fece a tempo a scoprire che il secondo agente del Sismi era separato dalla moglie, ma nel frattempo era prematuramente deceduto, perquisì la cantina, trovò due pistole, una Beretta e una Drulov cecoslovacca, chiese che le armi fossero periziate e cercò di rintracciare gli elenchi degli appartenenti a Gladio nel 1978. Ma gli fu impedito e le armi furono distrutte, lui capì che era meglio uscire di scena non senza informare la procura di Roma per dovere di ufficio. Tanto in 40 anni non aveva scoperto niente.

C’è un passaggio significativo nella lettera che ha sollecitato il mio amor proprio: “Non credo che voi giornalisti non sappiate come andarono le cose”, scrive l’anonimo divorato dal cancro e dai rimorsi. Ha ragione, qualcosa abbiamo scoperto nel corso degli anni nonostante il giornalismo investigativo in Italia non aiuti a fare carriera. Ad esempio già sapevamo che il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, diretto superiore degli agenti sulla Honda, anche lui deceduto (ma è un’epidemia!), non era un passante in via Fani, come ha cercato di far credere a Santiapichi, presidente del primo processo Moro. Guglielmi addestrava truppe di sbarco e assalto a Capo Marrargiu, la base militare Nato vicina ad Alghero, dove venivano istruiti anche i capi scorta di alte personalità. In via Fani Guglielmi era nell’esercizio delle sue funzioni, dirigeva un’operazione militare. E pensare che siamo stati accusati di dietrologia, quando ci eravamo limitati a sospettare che era lì per prelevare le borse di Moro!

Molto probabilmente, ma è soltanto un’ipotesi, il colonnello Guglielmi e il maresciallo Oreste Leonardi, caposcorta di Aldo Moro, si conoscevano. La sottoscritta, in un libro di qualche anno fa, sosteneva che il nodo di molti misteri di via Fani andava cercato proprio nel rapporto gerarchico tra Guglielmi e Leonardi. Se cliccate su Internet scoprirete che mi viene attribuita la tesi, cui non credo fino a prova contraria, che Moro sia stato rapito nella chiesa di Santa Chiara dove era andato a messa prima di recarsi in Parlamento per varare il governo sostenuto dal Pci. Penso però che nella chiesa di Santa Chiara qualcosa di importante sia accaduto: bisognava convincere il caposcorta a imboccare via Fani, dove erano in attesa  brigatisti e altri ancora, dove erano state tagliate le ruote del Fiorino per impedire al fioraio di aprire il chiosco, dove tutto era stato predisposto.

Leonardi sceglieva all’ultimo momento la strada da fare, senza comunicarlo a nessuno per motivi di sicurezza, e via Fani era soltanto uno dei tre possibili percorsi. La logica conclusione è che sia stato il colonnello Guglielmi a trarlo in inganno, magari adducendo motivi di sicurezza, era l’unico che poteva impartirgli ordini. A proposito chi ha ucciso Leonardo, Zizzi e tutti gli altri? Le Brigate rosse? No, sembra si trattasse di uno ‘ndranghetista, tal Gustino De Vuono, il legionario “De”, come scriveva Mino Pecorelli, uno che sparava come un dio e che, al centro della scena con un giubbetto azzurro e una mitraglietta Scorpio, ha esploso 84 proiettili. Gli unici che hanno colpito gli agenti, ma per averne conferma dobbiamo aspettare la prossima lettera anonima.

p.s.: qualcuno di voi dirà, ma chissenefrega di una storia di mezzo secolo fa, non eravamo manco nati. Attenti, magari non lo sapete, ma quella di Moro è una ferita ancora aperta e c’è un filo che lega questa strage a quelle del 1992-93. Quasi fosse un’unica operazione, in due tempi, che ha sottratto ai cittadini italiani la possibilità di decidere sul proprio futuro.