Cultura

Ruanda, ‘Nostra signora del Nilo’: prove generali del genocidio

“Virginia, ci siamo quasi, lo vedi anche tu. Non è perché siamo in un liceo di privilegiate che la scamperemo. Anzi. Noi siamo l’errore più grosso che hanno fatto. Rimedieranno al più presto. Hai visto cos’è andata a escogitare Gloriosa: la storia degli inyenzi fantasma, l’attentato alla statua, la nuova Madonna degli hutu. È tutto pronto. Ormai si aspetta solo il raduno della Gioventù militante ruandese. E quelli mica verranno cantando gloria a Maria, verranno armati di grosse mazze, di clave, forse di machete, a onorare Nostra Signora del Nilo.”

Leggendo questo brano tratto dall’intenso e molto bello Nostra Signora del Nilo della scrittrice Scholastique Mukasonga (edito da 66thand2nd e tradotto da Stefania Ricciardi), sembra di immergersi nei giorni che precedettero il genocidio del 1994 quando, per preservare il proprio potere, gli estremisti hutu, tra il 6 aprile e il mese di luglio organizzarono uno dei più efferati massacri della storia: venne assassinato un numero di persone non inferiore al milione.

Il romanzo, in realtà, è ambientato all’inizio degli anni Settanta, a Nyaminombe, al liceo Nostra Signora del Nilo, vicino alla sorgente del grande fiume, dove si erge la statua della Madonna nera. La storia è quello delle alunne della scuola, figlie di ministri, uomini d’affari, ricchi commercianti, politici, cardini dei poteri forti della nazione, e di Veronica e Virginia, due delle giovani tutsi ammesse in virtù della quota etnica, un misero dieci percento, un’elemosina degli hutu al governo.

Il libro, che narra dell’anno scolastico, scandito da lezioni e pasti in comune, da pene e momenti di buonumore, e da preghiere, canti e pellegrinaggi alla statua di Nostra Signora del Nilo, gioca e ironizza sulle visioni demenziali degli insegnanti, preti lussuriosi e ignoranti: “Le ore di religione erano ovviamente affidate a padre Herménégilde. A suon di proverbi, dimostrava che i ruandesi avevano sempre adorato un unico Dio, un Dio che si chiamava Imana e che somigliava come un fratello gemello allo Jahvè degli ebrei della Bibbia. Gli antichi ruandesi erano, senza sapere di esserlo, dei cristiani che aspettavano con impazienza l’arrivo dei missionari per farsi battezzare, ma il diavolo era giunto a corrompere la loro innocenza.”

Narra, in modo semplice, poetico e colorato, dei ritmi della terra e del tempo. Racconta la pioggia che “scende per lunghi mesi, è la Sovrana del Ruanda, ben più del re del passato o del presidente di oggi, la Pioggia è attesa, è invocata, è lei che deciderà la carestia o l’abbondanza, che sarà di buon auspicio per un matrimonio fecondo […] è lei la Padrona violenta, pignola, capricciosa, che crepita su ogni tetto di lamiera, da quelli nascosti sotto il banano a quelli dei quartieri melmosi della capitale, è lei che ha gettato la sua rete sul lago, che ha cancellato la grandiosità dei vulcani, che regna sulle sconfinate foreste del Congo, viscere dell’Africa, la Pioggia, la Pioggia perenne, fino all’oceano che la genera”.

Scholastique Mukasonga è molto brava a dare coralità alla sua scrittura, a rendere non banali i piccoli drammi delle ragazze del liceo, a creare violenza e tragedia con frasi asciutte e semplici che evocano tutta la bellezza dell’Africa e, soprattutto, nella parte finale del romanzo, quando l’astiosa impudenza di alcune allieve fa sfociare in odio razziale quel microcosmo tutto al femminile, a far riflettere il lettore sulla storia di un Paese poco conosciuto in Occidente. Per secoli le tre tribù ruandesi hutu, tutsi e twa condivisero la stessa cultura, lingua e religione. Nel 1916 il Belgio assunse il controllo del Ruanda al posto della Germania e instaurò un rigido sistema coloniale di separazione razziale e sfruttamento. Concedendo ai tutsi la supremazia sugli hutu, alimentarono un profondo risentimento tra la maggioranza hutu. Nel 1959 i belgi cedettero il controllo del Ruanda alla maggioranza hutu. Con l’indipendenza ebbe inizio da parte delle istituzioni un lungo periodo di segregazione e massacri anti-tutsi. Centinaia di migliaia di tutsi e hutu furono costretti all’esilio. E questo molto prima del fatidico aprile del 1994.

Nostra Signora del Nilo racconta questo, una storia di solidarietà, rabbia, sopraffazione, razzismo, ignoranza e bellezza nel mezzo di uno dei tanti conflitti etnici che la colonizzazione ha lasciato.

“Hai già dimenticato quello che abbiamo già subito e che ci promettono tutti i giorni? Nel 1959 metà della mia famiglia si è rifugiata in Burundi, tre miei zii sono stati uccisi, nel 1963 mio padre l’ha scampata – a Kigali non erano liberi di uccidere come avrebbero voluto perché c’erano le Nazioni Unite – ma è stato messo in prigione insieme a molti altri, l’hanno picchiato più che hanno potuto, e quando l’hanno rilasciato, poiché il presidente voleva dimostrare ai bianchi quanto fosse pacifico, gli hanno fatto pagare una grossa cauzione.”