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Chi tratterà con l’Europa e con la Merkel? Il futuro di Renzi è appeso al Tesoro

Determinante chi guiderà l'economia, perché a Bruxelles e nelle capitali nessuno conosce il sindaco di Firenze. Il commissario Olli Rehn intanto ricorda: "Dovete rispettare il vincolo del 3%". Ma l'Italia non manda i numeri della spending review

La scelta del ministro dell’Economia sarà il vero programma economico di Matteo Renzi, tutto il resto è contorno. Su quella poltrona si condensano tutte pressioni cui dovrà resistere il governo del premier incaricato. Meglio Lucrezia Reichlin o Fabrizio Barca, che si è chiamato fuori? Oppure magari Franco Bassanini? Renzi e i suoi collaboratori sono consapevoli che serve una persona che sappia gestire la macchina amministrativa di via XX Settembre, ma soprattutto che tratti con l’Europa. Il più feroce editorialista del Financial Times, il tedesco Wolfgang Münchau, ieri scriveva questo: “Le riforme sono necessarie ma non bastano. Per tenere l’Italia nell’eurozona, mister Renzi avrà bisogno dell’aiuto della Banca centrale europea. E questo significa che ha bisogno di un cambio nel dibattito macroeconomico dentro l’Unione europea”. Tradotto: Renzi sarà il quarto premier le cui sorti dipenderanno da Mario Draghi, il presidente della Bce. Che succederebbe, per esempio, se dopo l’esame europeo Draghi decidesse che il Monte Paschi deve essere smembrato o nazionalizzato? E se dovesse tornare il panico sui mercati, il leader del Pd si troverebbe a dover negoziare con Draghi il possibile ricorso allo scudo anti-spread (le operazioni OMT).

A Bruxelles Renzi non è conosciuto. Le burocrazie europee non si aspettavano un cambio così brusco a Palazzo Chigi, stavano già discutendo con Enrico Letta il semestre a presidenza italiana, da luglio. Non c’è molto tempo per inserire il nuovo gruppo dirigente, per questo è cruciale la scelta del nuovo ministro. Il primo caso sta già esplodendo: a novembre la Commissione europea ha chiesto al governo Letta un aggiustamento di bilancio di 3-4 miliardi di euro per rispettare la “regola del debito” (cioè la progressiva riduzione dell’indebitamento accumulato), da Roma hanno promesso di mandare informazioni sulla spending review ma non l’hanno mai fatto. Risultato: il termine è scaduto e tra poche settimane la Commissione europea presenterà le stime economiche invernali in cui l’Italia sarà bacchettata per non aver rispettato gli impegni, colpe di Letta che ricadranno su Renzi. Di fronte alle crescenti attese di miracoli fiscali dal nuovo governo, ieri il commissario agli Affari economici Olli Rehn si è detto fiducioso che “il governo continuerà a perseguire le riforme economiche e che manterrà un consolidamento coerente”. Peccato che invece Renzi abbia annunciato di essere disposto a sfondare il tetto del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil, se questo serve a finanziare le riforme.

Come farà Renzi a spiegare le sue posizioni a Bruxelles? Perfino Mario Monti, all’inizio, faticava a vincere il naturale scetticismo dei partner europei sulla credibilità delle promesse italiane. E Letta ha lasciato un buon ricordo per il suo stile negoziale asciutto nel Consiglio europeo. Il sindaco di Firenze non ha grandi esperienze dirette: ha incontrato a Firenze Rehn un paio di anni fa, ma i due non si conoscono e il carisma renziano difficilmente scalfirà l’imperturbabile finlandese. Con Angela Merkel Renzi si è visto a luglio, a Berlino (senza dirlo a Letta), ma è stato solo un incontro esplorativo. Renzi probabilmente non conosce neppure il dossier di cui dovrebbe discutere con la Cancelliera, cioè i cosiddetti “accordi contrattuali”, premi in cambio di riforme, e la scelta verso cui si sta orientando di sostituire agli Affari europei il veterano Enzo Moavero con Federica Mogherini, il ministro dell’Economia sarà ancora più importante. Lucrezia Reichlin ha lavorato a lungo alla Bce (oggi è molto critica sul progetto di Unione bancaria), così come il fiorentino Lorenzo Bini Smaghi che era nel Consiglio direttivo (inviso al Quirinale perché nel 2011 non si dimise abbastanza in fretta per lasciare spazio a Draghi al vertice). Fabrizio Barca è quello col profilo più adatto, prima di diventare ministro per la Coesione nel governo Monti è stato il superconsulente del commissario per le Politiche regionali Johannes Hahn.

Ma è anche quello, tra i candidati, che più esplicitamente ha detto di non essere interessato (complice uno scherzo telefonico della trasmissione La Zanzara di Radio24). Renzi dovrà faticare molto per convincerlo o per trovare un nome alternativo all’altezza. Intanto ha avviato un rapporto con il favorito per la prossima presidenza della Commissione Ue, il tedesco Martin Schulz (il Pd entrerà nel Pse) che con Renzi ha parlato spesso in questi giorni e ha molto apprezzato la scelta netta di schierare il Pd con i socialisti europei.

da Il Fatto Quotidiano del 18 febbraio 2014