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Sochi 2014, le minacce ‘alternative’ all’Islam

A poco meno di una settimana dall’inaugurazione dei Giochi olimpici di Sochi, i primi della storia post-sovietica, in Russia sono scattate le annunciate misure di massima sicurezza con il dispiegamento di oltre 30 mila tra poliziotti e militari. Il rischio di un attacco terroristico nei giorni scorsi aveva spinto il Comitato olimpico statunitense ad invitare i propri atleti a non indossare le uniformi ufficiali del team americano al di fuori dell'”anello di acciaio”, come alti ufficiali del Cremlino hanno definito il perimetro che ospita le competizioni sportive.

Il pericolo numero uno, almeno fino al 23 febbraio (giorno in cui la kermesse volgerà al termine), resta quello di matrice islamica, dopo l’appello del sedicente Emiro del Caucaso del Nord Doku Umarov a colpire le manifestazioni e dopo i due attentati condotti a Volgograd che hanno causato 34 morti. Ma sussistono anche minacce “alternative”, che finora non hanno ricevuto l’attenzione dovuta. Provengono in primo luogo dal territorio di Krasnodar, un “kraj” del Distretto Federale Meridionale a circa 300 chilometri da Sochi.

La regione in questione ha alle spalle una storia buia, ispirata a politiche razziste e antisemite portate avanti dagli ultimi due governatori: Nikolai Kondratenko e Alexander Tkachyov. Il primo, in uno dei suoi numerosi comizi politici in passato riuscì a pronunciare per ben 62 volte la parole “ebreo” accostandola alle teorie cospirazioniste del “complotto giudaico-massonico”, un approccio follemente xenofobo e anti-sionista citato in documento di estrema diffusione nella Russia zarista. Il dossier, dal titolo “I Protocolli dei Savi di Sion“, denunciava un’infiltrazione del popolo ebraico nella massoneria e la pianificazione di un progetto diabolico per il dominio globale.

Il secondo, Tkachyov, oggi è sotto indagine per conto del suo stesso partito, il Democratico Unificato Russo-Jabloko, a causa di alcuni commenti razzisti rilasciati nel 2012 riguardo all’impiego di nuove forze di polizia finalizzato a scovare ed arrestare, in modo indiscriminato, cittadini di origine caucasica. E’ inoltre uno dei protagonisti al centro della controversa vicenda che circonda l’ondata di violenze sistematiche e intimidazioni dirette ai turchi Meskhetian, originari della Georgia, già deportati durante il regime stalinista e costretti a una nuova evacuazione nel 2004, proprio da Krasnodar.

Alla pericolosa retorica di Kondratenko e Tkachyov, segue l’operatività di diversi movimenti nazionalisti dal carattere profondamente anti-ebraico. Solo il 20 dicembre scorso, un gruppo di skinheads ha appeso una testa di maiale all’ingresso di un quartiere dove risiede una comunità ebraica. La “Marcia russa” di novembre ha visto la partecipazione di un migliaio di persone che hanno ripetutamente violato l’ordine pubblico, scandito slogan nazisti e usato simboli vietati. La sponda razzista di Krasnodar, la più intollerante sull’accoglienza degli immigrati, ovvero i “neri” giunti dalle ex repubbliche sorelle dell’Asia Centrale, rappresenta un’autentica minaccia per chiunque indossi un indumento patriottico che non riporti il vessillo della Federazione, e dunque una minaccia per atleti e turisti, di culture ed etnie diverse.

Il rischio che si verifichino spiacevoli episodi è alimentato anche dalla scelta di impiegare oltre 400 cosacchi per garantire la sicurezza delle Olimpiadi. A Krasnodar, ancora, le ex fedelissime truppe zariste, con tanto di uniforme tradizionale e colbacco compreso hanno cominciato a pattugliare la città insieme alla polizia, coadiuvando gli agenti nei controlli. L’antica comunità militare (come viene definita), in passato si è pero resa protagonista di numerosi atti di violenza e ha spesso dimostrato di voler perseguire una giustizia propria. Non a caso, proprio i cosacchi sono stati i primi a cavalcare la contro-mobilitazione nazionalista scoppiata a seguito degli attacchi di Volgograd, e diversi rapporti oggi li riconducono alle decine di cellule neo-naziste dispiegate lungo il territorio russo.