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Bce, cosa può fare per contrastare ‘la trappola della liquidità’

Il presidente della Bce Mario Draghi ha abbassato il tasso per le operazioni di rifinanziamento, vale a dire il valore che le banche pagano quando prendono in prestito del denaro dalla Bce, allo 0,25%. Certamente il credito è importante per la ripresa di un’economia, ma soltanto se esso confluisce nel circuito dell’economia reale invece che in quello finanziario. Tagliando il costo del denaro, la Bce aumenta la convenienza per le banche a richiedere moneta, con l’auspicio che quest’ultime approvvigionino l’economia reale contribuendo a contrastare la crisi.

A ben vedere, i tassi d’interesse delle principali banche centrali del mondo si aggirano intorno allo zero e ciò può risultare pericoloso. Infatti, un limite che incontra la banca centrale nell’utilizzo della leva monetaria è che il tasso d’interesse nominale non può scendere sotto lo zero, poiché se ciò accadesse sarebbe come dire che chi presta del denaro deve offrire anche degli interessi a chi lo richiede.

Se le aspettative inflazionistiche sono in diminuzione o gli agenti si aspettano una deflazione, cioè una discesa dei prezzi, il costo del denaro può risultare non sufficientemente basso per tirare fuori l’economia da una recessione. In altri termini, quando il tasso d’interesse nominale raggiunge lo zero, un incremento dell’offerta di moneta non è efficace. A porre in luce questo fenomeno fu l’inventore della macroeconomia contemporanea, John Maynard Keynes, che disse: “Quando il tasso d’interesse nominale è zero l’aumento dello stock di moneta fa precipitare l’economia in una trappola della liquidità”. In questo caso particolare, in corrispondenza di un tasso d’interesse abbastanza basso, la domanda di moneta per fini speculativi diviene illimitata, perché i risparmiatori si aspettano un incremento del tasso d’interesse e per tale ragione preferiscono detenere moneta in forma liquida piuttosto che investirla.

“È possibile portare un cammello all’abbeveratoio, ma non lo si può costringere a bere”. Così si esprimevano gli economisti keynesiani negli anni trenta per descrivere la trappola della liquidità. Situazioni di questo tipo possono essere rintracciate volgendo lo sguardo al passato: nel periodo della Grande depressione del ’29, gli Stati Uniti portarono il costo del denaro a zero senza effetti per l’economia; e così apparve la trappola della liquidità. Stessa sorte toccò al Giappone con la Grande deflazione degli anni ’90. Attualmente, con un tasso d’interesse che tende allo zero, il rischio che in Europa si configuri uno scenario contrassegnato dalla trappola della liquidità non appare del tutto infondato.

Tuttavia, risulta utile evidenziare che la trappola della liquidità rappresenta un problema quando si combina con la deflazione e non ogni volta che appare. Un tasso di deflazione crescente, a un dato tasso d’interesse nominale, provoca un continuo aumento del tasso d’interesse reale, generando una caduta continua della produzione, con l’economia che entra in un circolo vizioso. Questo scenario può rintracciarsi nel corso della Grande depressione del ’29 e durante la Grande deflazione degli anni ’90 in Giappone, quando la politica monetaria fu attivata, ma era troppo tardi e a quel punto si dovette fare fronte al problema della trappola della liquidità e della deflazione. Sicuramente, quando si è prossimi alla trappola della liquidità e i tassi non possono essere più tagliati, il futuro della politica monetaria non è roseo.

Secondo il premio Nobel Paul Krugman è possibile contrastare il fenomeno della trappola” realizzando una politica attiva che generi aspettative inflazionistiche. Krugman dice che gli agenti economici prendono delle decisioni che riguardano sia il presente che il futuro. La trappola della liquidità può svilupparsi se la crescita attesa dell’economia è negativa e si tende a risparmiare oggi per aumentare il consumo domani. E allora è il momento di persuadere gli agenti economici che la banca centrale creerà inflazione. In altri termini, quando il tasso d’interesse non può più subire sforbiciate, la banca centrale deve convincere gli agenti che manterrà i tassi d’interesse nominali a zero per parecchio tempo accettando l’inflazione: paradossalmente, nello strano contesto della trappola della liquidità più inflazione c’è meglio è! Questa terapia fu adottata nel 1933 dagli Stati Uniti e più recentemente nel 2003 dalla BoJ e in entrambi i casi servì a far modificare le aspettative inflazionistiche.

Alcuni economisti trattano le recessioni come un problema non di primaria importanza, concentrando gli studi sulla crescita di lungo periodo. Certamente, nel lungo periodo, se si vuole sviluppare l’economia oltre a sostenere la domanda aggregata[1], è necessario aumentare la produttività e in Europa, e in particolare in Italia, è necessario puntare sull’innovazione e sui guadagni di produttività[2].

Purtroppo, come ha detto Keynes, «nel lungo periodo saremo tutti morti[3]». Nel frattempo, nel breve periodo, l’economia sta passando da una crisi all’altra, dimostrando che il problema primario è quello di mantenere elevato il livello della domanda. La crisi attuale pone in evidenza che spesso la domanda è insufficiente per utilizzare appieno la capacità produttiva disponibile e il libero mercato non è in grado di fare ripartire l’economia. La famosa mano invisibile che autoregola i mercati (soprattutto finanziari) è stata fino ad ora talmente invisibile che nessuno l’ha vista operare! Ad essere vista è stata solo la mano pubblica attraverso iniezioni di liquidità.

E allora l’unica soluzione è l’intervento della politica economica. Ma a pensarci bene gli interventi di politica economica che si stanno mettendo in campo riguardano soprattutto il salvataggio di banche e imprese industriali di grandi dimensioni e non spese sociali in istruzione, pensioni, sanità e sussidi di disoccupazione. Tutto questo sembra più un sostengo all’offerta che alla domanda, ma se così fosse resterebbe ben poco di keynesiano, ed anzi potremmo assistere a un ulteriore aumento del divario tra offerta potenziale e domanda.

di Alessandro Morselli *

* L’autore è docente a contratto di Complementi di Politica economica presso l’Università di Roma “La Sapienza”.

 www.economiaepolitica.it

[1] Palumbo A. (2008), “I metodi di stima del Pil potenziale tra fondamenti di Teoria economica e Contenuto empirico”, Working Paper, Dipartimento Economia, Università, Roma Tre,  n. 92, 2008, pp. 10-15.
[2] Morselli A. (2011) “La sostenibilità della spesa per welfare in Europa tra obiettivi sociali e crescita Economica”, Studi economici e sociali, anno XLVI, fasc. I-II, pp. 66-76,
[3] «Gli economisti si attribuiscono un compito troppo facile e troppo inutile se, in periodi tempestosi, possono dirci soltanto che quando l’uragano sarà lontano, l’oceano tornerà tranquillo» (Keynes J. M. (1923), La riforma monetaria. Trad. it. Sraffa P. (1978), Milano, Feltrinelli).