Cultura

Calvino ‘compie’ novant’anni: la sua lezione italiana

Oggi Italo Calvino avrebbe compiuto novant’anni. Assieme ad Eco e Moravia è lo scrittore italiano del Novecento più tradotto. In un’epoca nella quale si strapubblica e la letteratura è diventata un prodotto da banco a breve deperibilità, l’opera di Calvino non appartiene al polveroso starnazzare di libri mediocri.

Si arriva alla letteratura se si riflette sugli strumenti che la compongono. Calvino ne era perfettamente cosciente, per lui il percorso di costruzione parla quanto la trama.

Calvino ritiene la letteratura una ricerca di conoscenza, come scrive nelle Lezioni americane. E già con il suo primo romanzo di tema resistenziale, Il sentiero dei nidi di ragno, pubblicato nel 1947, i dilemmi della guerra civile, la fragilità umana dei combattenti, le loro indecisioni sono state raccontate con una capacità esplicativa tale da anticipare di decenni le acquisizioni storiografiche.

Con il suo lavoro Calvino punta a scoprire l’essere umano indagandone – attraverso la letteratura – i primordi. L’antropologia, l’etnografia, la mitologia sono elementi che lo affascinano e gli servono per far riflettere i suoi personaggi. Lui stesso non è che un moderno che dialoga con i classici.

Tutto avviene con apparente semplicità, come nelle sue opere fantastiche: Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente. Sono romanzi storici fiabeschi (uno ambientato a fine Seicento, l’altro nell’epoca dei Lumi, il terzo durante le crociate) che li rende leggibili su due livelli: l’immediata fruizione della vicenda e la ricerca dei significati nelle allegorie. La fiaba affascina Calvino per la semplicità (da conquistare) e per essere punto di contatto tra la scrittura e l’oralità.

E’ il meccanismo che lo porta a costruire Marcovaldo o le stagioni in città, caratterizzato, più di altri da una leggerezza pensante, un gusto comico, la conoscenza attraverso il paradosso, ma è una favola che parla del suo tempo, il 1963, in pieno boom economico: i primi supermercati, la frenesia del regalo distruttivo, la corsa del cemento che mangia la campagna, l’immigrazione.

Il periodo fantastico consente a Calvino di lavorare sulla sperimentazione e di tenere intrecciati generi e legami internazionali. Curioso su tutte le avanguardie, prima vicino al neorealismo poi al concettualmente opposto Gruppo ’63, ha attraversato le correnti rinnovatrici, senza mai esserne organico.

Si è detto che la fase fantastica di Calvino esprima la sua disillusione nei confronti della realtà e dell’impegno politico. Non era uomo di dogmi e per lui, partigiano poi comunista, l’assidua fedeltà del Pci all’Urss è una gabbia troppo costringente. Con l’invasione sovietica dell’Ungheria lascia il Partito comunista, senza rinunciare all’impegno critico e a una funzione di stimolo che continuerà a rivolgere ancora al Pci. Semmai sono opere come La speculazione edilizia e, soprattutto, La giornata di uno scrutatore che esprimono in forma palese la sua disillusione. Nel romanzo La giornata…, ambientato all’Istituto Cottolengo che accoglie gravi portatori di handicap fisici e mentali, il protagonista, alter ego dell’autore, si rende conto di come nessuna ideologia politica possa fornire risposte agli ospiti di quella struttura ponendolo dinanzi a un’irrisolta complessità del reale.

Non solo l’ideologia, ma anche l’intellettuale è visto quasi fuori contesto nella società contemporanea. La giornata…, non è la prima riflessione sul ruolo dell’intellettuale; come non ricordare Cosimo, protagonista de Il Barone rampante, perfetto filantropo onnisciente del Settecento che nulla governa, se non la sua coerenza. Questa percezione di inadeguatezza non si traduce in pessimismo decadente, ma si irradia in continua ricerca.

Ne è un ulteriore esempio la fase del romanzo combinatorio che incarna la dimensione inestricabile della complessità – eloquente ne Il castello dei destini incrociati – espressa attraverso un gioco di combinazioni che si può riprodurre all’infinito.

Un elemento frequente della poetica di Calvino è far capire come lavora lo scrittore. Nasce così, da un esercizio smontaggio, il romanzo interrotto, famoso per i suoi dieci inizi, Se una notte d’inverno un viaggiatore, dove al centro della storia ci sono due lettori e gli inizi sono un omaggio ad altrettanti generi letterari.

Il gioco, per Calvino, non è mai fine a sé stesso, ma è parte di una sperimentazione che ingloba un sapere enciclopedico, espresso con una scrittura che vive di precisione chirurgica. Il testamento di Calvino affida allo scrittore il destino della lingua, non per limitarsi a riprodurne l’oralità, ma per partire da questa e creare una nuova forma scritta, pur senza assolutismi perché – come scrive ne Le città invisibili – “non c’è linguaggio senza inganno”.

Ha covato l’idea – purtroppo senza realizzarla – di una rivista sulla società e la letteratura destinata al grande pubblico. Aveva condiviso il progetto, tra gli altri, con Gianni Celati, forse il più “calviniano” tra i nostri scrittori.

Nella vita il pluripremiato Calvino era un uomo con un profondo senso della misura: si è sempre tenuto distante da vanità e salotti per scrittori immodesti. Grazie anche alla sua opera di critico, la letteratura ci è stata resa non solo più comprensibile, ma ci è stata mostrata nella sua insopprimibile utilità.