Cultura

Roma, Tor Pagnotta 2: l’archeologia inghiottita dal cemento

La via Laurentina a Roma, subito dopo aver oltrepassato il Gra lambisce zone che stanno velocemente dismettendo le caratteristiche di un tempo anche recente. Non più campagna, non ancora città. Chiazze di verde rimangono qua e là. Ma diventano sempre di meno, progressivamente meno estese. A sinistra poi in questi ultimi anni si è insediato un nuovo agglomerato. Che continua a crescere. E’ Tor Pagnotta 2 una delle creature pensate e realizzate da Francesco Gaetano Caltagirone. Un dormitorio per nuovi 20mila abitanti. Anche qui come in altre zone di espansione, agli inizi, reclamizzato un parco. Che naturalmente non c’é. E mai ci sarà.

Ancora prima della rotonda dalla quale si diparte via Castel di Leva lo spettacolo non è inconsueto. Sopraelevato su un’altura allungata, palazzi costruiti, altri in costruzione. Ponteggi e gru sono riconoscibili senza alcuna difficoltà. In lontananza. In primo piano sulla sommità di un cucuzzolo che domina da ogni parte, la sagoma di una struttura in scaglie di selce. Una torre medievale del XII secolo in scaglie di selce, qualcuno di marmo e bozze di tufo. Riportata in molte carte storiche. Un monumento bello e importante. Al di sotto della piccola altura, più vicino alla strada, i resti di una chiesa medievale. Per vederli da vicino non è agevole. Bisogna salire su per via Rita Brunetti, la strada che entra nella cittadella di Caltagirone. Con la speranza che ci sia un passaggio che permetta di raggiungere l’area archeologica. Speranza vana.

L’unica possibilità è inoltrarsi nello spazio inedificato tra i palazzi da sette piani, bianchi, e i bandoni che perimetrano l’ulteriore palazzo in costruzione e lì in fondo, la via Laurentina e via di Castel di Leva. Penetrare tra la vegetazione spontanea che cresce indisturbata da anni e raggiungere la torre è già un’impresa. E comunque, arrivati, ci si rende conto dello stato di conservazione più che precario. Basta osservare su quel che rimane in elevato del monumento le numerose lesioni. Oppure scoprire quante siano le parti crollate. Da qui il panorama è mozzafiato. D’altra parte la torre, posta a metà strada tra le vie Laurentina e Ardeatina, era al centro di un luogo strategico, venendosi a trovare circondata da una serie di vedette di guardia dislocate nelle vicinanze.

Continuare in direzione della chiesa, in basso, è quasi impossibile. Ma da quel che si può vedere dall’alto anche quella struttura non versa in buone condizioni.

Mentre si continuano a saturare spazi in nome di un piano di lottizzazione convenzionata chiaramente scellerato, una parte del patrimonio archeologico che quest’area possedeva, viene abbandonato. Non abbattuto, certo. Ma relegato ad un ruolo più che marginale. Nonostante la mobilitazione di associazioni locali e perfino del Fai. Assemblee, appelli e lettere indirizzate alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici e agli uffici competenti del Comune di Roma senza alcuna conseguenza. A quel che si vede. Senza contare quel che non si vede più, perché fagocitato dal nuovo cemento.  

E’ sufficiente riandare agli inizi della vicenda. Nel 2003 il Comune di Roma rilascia il permesso di costruire, nel 2005 il Consiglio Comunale approva delle modifiche al progetto, prevedendo a carico del costruttore la realizzazione di infrastrutture per la mobilità e i servizi pubblici essenziali. Successivamente con nota 22 febbraio 2006 prot. 13655/06 del dipartimento territorio della Regione Lazio si ricordava che “i progetti esecutivi, di Tor Pagnotta 2, delle opere di urbanizzazione primaria e delle sistemazioni a verde che ricadano nella zona sottoposta a vincolo paesaggistico, sono assoggettati alla successiva autorizzazione ai sensi dell’art. 151 del decreto legislativo 490/1999”, oggi decreto legislativo 42/2004 ossia del Codice dei Beni Culturali.

Secondo una pressi ormai consolidata, preventivamente alle diverse opere edilizie, le indagini archeologiche. Occasione ghiotta per conoscere la storia di una vasta superficie, circa 40 ettari, del settore meridionale della tenuta di Tor Pagnotta. Una bella dorsale tufacea separata da ambo i lati da zone di compluvio naturale, incisa all’angolo sud-ovest dal corso del Rio Petroso.    

Le ricerche, realizzate procedendo per trincee fino al raggiungimento del banco naturale hanno evidenziato, al centro del pianoro, le tracce di un articolato sistema di canalizzazioni scavate nel tufo con probabile destinazione per uso agricolo, forse per l’impianto di un frutteto di meli o per un vigneto. Strutture, che insieme a resti di fosse e pozzi idrici, sono databili probabilmente al IV-III secolo a.C.  Tra le scoperte anche quella di importanti assi di collegamento. All’estremità occidentale della tenuta, lungo la moderna Via Laurentina, nei pressi di Ponte della Chiesaccia, sono stati rinvenuti i resti di un tracciato stradale che risaliva, dopo aver attraversato il fosso omonimo, verso il pianoro del comprensorio di Tor Pagnotta. Una strada di grande importanza, considerando che molto probabilmente si dirigeva verso l’abitato protostorico della Laurentina Acqua Acetosa. Più recentemente, a sud di questa zona, durante i lavori di raddoppio dell’attuale via Laurentina, all’incrocio con Via di Castel di Leva, è stato rinvenuto un altro tratto di strada, probabilmente risalente già ad epoca arcaica, che si raccordava con il tracciato stradale scavato in precedenza. Infine, sul limite sud ovest del comprensorio, sono state individuate alcune aree di cava prolungatesi fino ad epoca tardo imperiale.

Di tutto questo non rimane nulla in vista. L’archeologia inghiottita dal cemento oppure lasciata nel più completo abbandono nell’unico angolo nel quale non è stato possibile costruire nuove cubature.

L’aggiunta di un ulteriore sobborgo alla città contempla anche questo sacrificio. Peccato che molto probabilmente non ne valga davvero la pena. Roma continua nella sua disarticolata politica urbanistica, priva di visione sullo sviluppo futuro. Una storia come tante. Ma che ancora stupisce. Forse.