Donne di Fatto

Fabri Fibra, i bigotti del politically correct

Come un idraulico che prova ad arginare la perdita d’acqua del mare cercando un rubinetto da chiudere, il carrozzone del Primo Maggio ha cacciato anzitempo Fabri Fibra (il mare) brandendo la clava di una censura (il rubinetto) troppo masochistica persino per Tafazzi.

Marco Godano, organizzatore dell’evento, si è limitato a dire: “Non è nei nostri poteri rifiutare le indicazioni che ci arrivano dai sindacati. Allude all’associazione D.i.re, “Donne in Rete contro la violenza”, che – col cipiglio ottuso che troppo spesso le femministe paiono dedicare unicamente alle facezie – ha tuonato: “Il Primo Maggio è una festa e troviamo ingiusto e diseducativo per i tantissimi giovani che vi partecipano invitare un cantante che scrive testi carichi di stereotipi contro la donna, che sono l’humus da cui si genera la violenza”. La cacciata del 37enne Fabri Fibri rappresenterebbe (per il femminismo 2.0) “un’occasione per ribadire la necessità di un cambiamento che sia prima di tutto culturale”.

La vicenda, al netto dei martiri veri e presunti, nasconde i vizi antichi di un’adunanza sempre più stanca. E mai pienamente libera.

Nelle acque del Concertone del Primo Maggio, la sinistra si specchia sin troppo bene: nei pregi (la fame di cultura e partecipazione) e nei difetti. Questi ultimi, con irriverenza sublime, sono stati evidenziati da Elio e le Storie Tese nel nuovo singolo Complesso del Primo Maggio. La retorica, le pose alternative, il sentirsi superiori; i centri sociali occupati, i suoni balcanici, il combat folk; e i testi da Che Guevara mai stati guerriglieri, nel corpo e nemmeno nel cuore. L’affaire Fabri Fibra dona al divertissement di Elio i connotati della burla profetica: dello scherzo apparentemente leggero che, come tutte le satire riuscite, smaschera (mostrandone le nudità) un mondo contraddittorio.

Fabri Fibra ha reagito alla censura preventiva come uno che se l’aspettava. E, forse, un po’ la sperava pure. “Il rap racconta delle storie, alle volte crude alle volte spensierate. Spesso le rime e il rap servono per accendere i riflettori dove c’è il buio”; “Il rapper non prende una posizione sulla canzone che scrive: è l’ascoltatore che è costretto a riflettere e a prendere una posizione. Sono stanco di essere descritto come il rapper violento: in passato mi accusavano di non rispettare le donne nelle rime, ma io scrivevo quello che vedevo non quello che pensavo”; “Nemmeno Quentin Tarantino crede o incita alla violenza; quella non è la realtà. I suoi film non sono documentari. Il rap segue lo stesso principio”.

La censura nasce in sé odiosa e stupida. Prima di Internet, se da un lato consegnava al censurato le stimmate (desiderate o meno) del libertario inviso al potere, portava anche e soprattutto all’oblio. Capitò a Dario Fo, a Enzo Jannacci. E poi a Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi.

Ora, con l’esplosione definitiva della Rete, essere o non essere sopra certi palchi, o all’interno di certi piccoli schermi, non è più così rilevante. Fabri Fibra sembrerà ancora più maledetto agli occhi dei suoi fans e il mare continuerà a essere bagnato. Con buona pace delle femministe 2.0, il cui unico risultato è avere reso ancora più celebri due testi (Su le mani e Venerdì 17) più bruttini che pericolosi. Scandalizzarsi per strofe come “Se non me la dai io te la strappo come Pacciani” e “Senza vestiti con un taglio nell’intestino e le budella nel cestino / la sborra sul cuscino” è lecito. Come lo è tapparsi occhi e orecchie mentre tutt’attorno è Armageddon, per illudersi che le famiglie del Mulino Bianco esistano ancora (e siano pure senza wireless).

Quanto accaduto a Fabri Fibra non è però inedito. Men che meno stupefacente. Si confà casomai come l’ennesima replica di quella tendenza salottiera che ha la sinistra italica. Nella musica come in tivù: quel fingersi buoni, quello specchiarsi nella didascalia, quel crogiolarsi nel politicamente corretto. Quel giocare ai samaritani colti che non dicono mai – men che meno nell’arte – “cazzo” o “culo” (che è roba, se non da deviati, quantomeno da Bagaglino).

Il Concertone del Primo Maggio ha ospitato artisti eccezionali. Gli highlights, nella sua storia, non mancano. Ma ha sempre inseguito lo “scandalo controllato”. Se Elio (ancora lui, ancora loro) attaccavano Ciarrapico, la Rai li oscurava. Se Andrea Rivera osava criticare il Papa e difendere Welby, lo crocifiggevano (da destra e più ancora da sinistra). Il grado massimo di iconoclastia era la t-shirt di Daniele Silvestri con la faccia di Berlusconi mentre cantava Il mio nemico: un messaggio così garbatamente urticante da urtare giusto i Gasparri qualsiasi. 

Il Concertone del Primo Maggio è un ritrovo tutto sommato (ancora) gradevole, ma sta a Woodstock come Francesco Boccia a Enrico Berlinguer. “La musica balcanica ci ha rotto i coglioni / è bella e tutto quanto ma alla lunga… rompe i coglioni”. É una strofa del nuovo singolo di Elio. Più che altro, è la dimostrazione che – dopo un po’ – anche gli eventi nobili provocano un’irresistibile rotazione trasversale di zebedei.

 

Blog Somma: “Fabri Fibra canta la violenza contro le donne” 

Blog Naso: “Chi ha paura di Fabri Fibra?

 

il Fatto Quotidiano, 18 aprile 2013