Società

Pistorius, in che reparto lo avrebbero messo in un carcere italiano?

“In che reparto avrebbero messo Oscar Pistorius se si fosse trovato in un carcere italiano? Tra i protetti (i detenuti che devono essere tenuti separati dagli altri per preservarne l’incolumità)?”.

E’ la battuta, un po’ cinica, di Marco durante la riunione di redazione di Numero Zero, il periodico che con Vivere con lentezza produciamo nella casa Circondariale di Pavia. Inevitabile è anche il collegamento con O.J. Simpson il campione di football americano assolto, grazie a un pool di avvocati di grido, dall’accusa di aver ucciso la moglie e un amico. O.J. una volta caduto in disgrazia, però non riuscì a evitare una condanna a 33 anni per rapina a mano armata e sequestro di persona.

Il carcere è un microcosmo che non vive solo di sovraffollamento e suicidi (di detenuti e di agenti), è anche un sistema in cui si intrecciano realtà e affetti personali, con uno scambio di informazioni tra un istituto di pena e l’altro per posta e oralmente, attraverso le visite dei famigliari. Qui il paradosso regna sovrano e Internet rimane una chimera. Così capisco come mai Fabrizio Corona, che fa palestra con il cugino di Marco nel carcere di Busto Arsizio, non sia tornato a San Vittore. “L’altra volta, quando c’è stato, ha fatto un po’ lo sbruffone, e così è meglio che non ci torni.”

A dire il vero in tempi non sospetti Corona aveva anche denunciato le avance di Don Alberto Barin, il cappellano, rinchiuso a Bollate per le prestazioni sessuali pretese da alcuni detenuti in cambio di piccoli favori. Mentre le attività educative che favoriscono il recupero, continuano ad essere troppo poche, Rino si dedica al recupero fai-da-te di suo nipote, che è riuscito ad avere nella sua stessa cella e “che deve essere un po’ raddrizzato”. Niente di violento, ma unicamente per cercare di dare al ragazzo un futuro diverso dal suo, che a meno di 50 anni ha già accumulato, in più riprese, più di vent’anni di frequentazione delle patrie galere. Questa volta Rino potrebbe farcela a non tornare dietro le sbarre.

Nelle riunioni sostiene sempre una linea molto saggia, e alla domanda su come abbia fatto a collezionare tale curriculum, risponde: “a volte è sfortuna”. Tutto questo mentre, di amnistia e di riforma carceraria non ne parla più nessuno (tranne un larvato tentativo alle recenti elezioni da parte radicale) e il carcere di Bollate, elogiato da tutti, resta un’eccezione che conferma una regola inaccettabile.