Musica

‘MusicRaiser’, oltre l’industria musicale. Il successo italiano del crowdfunding

Il progetto, nato lo scorso ottobre sulla scia di Indiegogo e KickStarter, nel giro di pochi mesi ha raccolto molti consensi (e qualche critica). Da "Lo stato sociale" a Gianni Maroccolo, sempre più soggetti si rivolgono al finanziamento dal basso

“Non contro le case discografiche, ma con loro”. Così Giovanni Gulino, voce del gruppo “Marta sui Tubi” spiega il progetto MusicRaiser. L’idea nasce un anno fa, sulla scia della crisi del mercato discografico, e in generale di tutto quello che gravita attorno all’universo-musica. MusicRaiser è un portale grazie al quale musicisti, promoter, etichette e locali possono finanziare i loro progetti attraverso una forma di azionariato popolare. Il meccanismo è semplice: il sito permette di realizzare il sogno di tantissimi attraverso lo strumento della raccolta fondi, in cambio di ricompense esclusive per i finanziatori (il cosiddetto “crowdfunding”). Dalla registrazione di un disco, alla realizzazione di un videoclip, dalla programmazione di un tour a una generica campagna promozionale. Il tutto in cambio di una copia esclusiva del disco, di un biglietto gratuito per il concerto della band, di autografi o citazioni nei credits. Non quindi donazioni a fondo perduto, ma benefit per i raiser.

Il meccanismo del crowdfunding applicato in musica non è certo un’idea italiana. Indiegogo o KickStarter sono i portali che, negli ultimi cinque anni, hanno cercato di bypassare i tradizionali canali dell’industria musicale, ottenendo Oltreoceano un successo inaspettato. Dal lancio della piattaforma italiana – lo scorso ottobre – a oggi sono stati diversi i progetti importanti allestiti: da Gianni Maroccolo e Claudio Rocchi, passando per Galpaghost e Shandon (si parla di cifre raccolte per almeno 100mila euro). “Se la campagna raggiunge o supera il 100% delle donazioni richieste viene effettuata una trattenuta del 10% sul totale raccolto – spiega Gulino – Se l’ammontare non viene raggiunto, i fondi raccolti vengono restituiti ai donatori senza alcun tipo di trattenuta”. E specifica: “Con questo metodo noi intendiamo dare una mano, siamo semplici mediatori tra il pubblico e gli artisti. La voglia di partecipare a queste iniziativa è stata sorprendente, per paradosso le critiche maggiori sono arrivate da musicisti che non condividono questo metodo”.

A nutrire diversi dubbi su questo meccanismo, alcune voci della carta stampata. Per esempio Federico Guglielmi, storica firma del giornalismo musicale italiano per “Il Mucchio Selvaggio”, si è dimostrato scettico, salvo poi stilare una sorta di vademecum: “Occorrono trasparenza, senso della misura e buon gusto. Se mancano uno o più di tali requisiti, sarebbe da evitare come la peste bubbonica”.

Tra quelli che sono riusciti a raggiungere la soglia richiesta, c’è il gruppo Lo stato sociale che sottolinea“Attraverso la somma raggiunta finanzieremo un disco di remix del nostro ‘Turisti della democrazia’.  Il fattore più importante è stato accettare la natura di scommessa: se non fosse andata a buon fine, avremmo pubblicato in ogni caso – aggiunge Alberto Guidetti, membro fondatore della band – Non crediamo tuttavia si ripeterà ulteriormente come esperienza, abbiamo sempre trovato giusto produrci i dischi da soli, pensare di dover domandare soldi prima della pubblicazione di qualcosa ci mette di malumore e troviamo che un disco, come ogni prodotto, abbia il dovere di misurarsi con il giudizio degli altri quando è compiuto, cercando una propria via per finanziarsi e trovare pubblico”. Anche in Italia la strada a una nuova dimensione dell’industria musicale sembra ormai tracciata.