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Armstrong, la strategia: confessare tutto per salvare un impero da 100 milioni

La verità in diretta tv è solo la versione per il grande pubblico di un accordo segreto che l'ex ciclista starebbe contrattando con l’Usada e con il Dipartimento di Giustizia Federale. Che esigono in cambio i nomi dei pesci grossi che gli hanno permesso di agire indisturbato per vent’anni

All’inizio degli anni ’80 era in voga una serie televisiva incentrata su di un uomo bionico, capace d’imprese eccezionali. Il titolo, L’uomo da sei milioni di dollari, ne quantificava il valore economico. Fatte le debite proporzioni, e tenuto conto dell’inflazione, l’uomo bionico dei primi anni duemila vale molto di più. Il reo confesso Lance Armstrong, che le imprese eccezionali le faceva grazie al doping, è infatti una vera e propria impresa commerciale il cui valore si aggira sui 100 milioni di dollari. Questa l’enorme posta in gioco dietro le quinte della lacrimosa intervista registrata con Oprah Winfrey, dove Armstrong avrebbe confessato l’uso sistematico di doping. Con un obiettivo: salvare un impero che rischia di crollare sotto il peso delle mancate donazioni alla fondazione Livestrong, della fuga degli sponsor e delle cause di risarcimento. Un crollo già quantificabile in 30 milioni di dollari circa, e che rischia anche di tirarsi dietro colossi della finanza statunitensi.

Tutto comincia con il famoso braccialetto giallo simbolo della fondazione Livestrong, creato insieme alla Nike nel 2004, e che solo quell’anno ha portato un guadagno di 26 milioni di dollari nelle casse di Livestrong grazie anche alle ‘amichevoli’ partecipazioni di ciclisti, calciatori, attori, cantanti e di atleti come Justin Gatlin, che lo indossava nella vittoriosa finale olimpica dei 100 metri ad Atene 2004. Quell’anno si avvera infatti la profezia del potentissimo procuratore del ciclista texano, Bill Stapleton, che nel 1997 disse: “Per la sua guarigione dal cancro Lance potrà diventare un marchio, spendibile e riconosciuto in tutto il mondo mondo”. Nel 2004 avviene la fusione, e il corridore Lance Armstrong diventa la macchina da soldi Livestrong. Dal 1997, anno della creazione della Lance Armstrong Foundation (poi diventata Livestrong) la fondazione ha raccolto oltre 500 milioni per la ricerca contro il cancro. Nell’ultima dichiarazione dei redditi del 2011 all’Agenzia delle Entrate statunitense (IRS), Livestrong ha dichiarato una raccolta fondi di 46,9 milioni e beni per oltre 100 milioni di dollari di valore netto.

Un’organizzazione no profit certo, ma i cui sette dirigenti di spicco si sono divisi, sempre secondo l’ultima dichiarazione dei redditi, ben 2,1 milioni di dollari nell’ultimo anno. E che attirava sponsor come fosse miele per le api. Ma ora il castello di carte sta per essere spazzato via dal vento della disillusione. Simboleggiato dal geniale episodio di South Park, dove i cittadini fanno la fila per rimuovere il loro braccialetto giallo. O dalla cancellazione della lettera V sul bracciale, dove Livestrong diventa ‘Lie strong’ (enorme bugia). Perché gli sponsor di Armstrong e grandi finanziatori di Livestrong se ne sono andati. Anche con una certa ipocrisia. Trek non fornirà più le bici (1 milione in 3 anni). Oakley gli occhiali (500mila l’anno). RadioShack e Anheuser-Busch hanno chiuso le loro sponsorizzazioni (4 milioni l’anno circa). E ha detto ciao anche Nike, deus ex machina del personaggio Armstrong, di cui non è possibile conoscere l’esatto ammontare della sponsorizzazione ma non è difficile immaginare superiore a tutte le altre messe insieme. E in questo caso, oltre all’ipocrisia, si sta indagando in sede processuale anche su eventuali complicità.

I tribunali sono poi l’altro nodo dolente della vicenda Arsmtrong, che finché era potente e con le spalle coperte poteva permettersi di essere arrogante in pista e fuori, ottenendo per esempio nel 2006 dal Sunday Times l’equivalente di 480 mila dollari in una causa per diffamazione. E ora che il doping è stato dimostrato, il quotidiano britannico chiede indietro 1,5 milioni di dollari. Lo stesso la compagnia assicurativa Sca, che per non aver pagato un premio di 5 milioni nel 2005 sostenendo che Armstrong fosse dopato fu costretta a pagarne 7,5 qualche anno dopo. Ora Sca chiede indietro 12 milioni. Ovviamente soldi che non deve restituire solo Armstrong, ma anche la sua squadra US Postal, come nel caso dei 4 milioni pagati per i sette Tour de France vinti e che la federciclo francese vuole restitutiti. Perché l’inchiesta dell’Usada ha riconosciuto l’Us Postal colpevole di aver orchestrato insieme al corridore texano “il più grande e sofisticato sistema di doping al mondo”. E qui la faccenda si fa seria.

In ossequio al sogno americano di rinascita e redenzione, basteranno infatti due lacrime sul divano di Oprah per riconquistare credibilità e sponsor, e magari ammorbidire le richieste in fase giudiziaria di qualche controparte. Ma in ballo, oltre ai 30 milioni di dollari fin qui elencati, c’è anche una pesantissima accusa per frode che pende su Armstrong e la Us Postal per avere defraudato le Poste Americane: lo sponsor principale della squadra più dopata e dopante della storia. Il problema è che la Us Postal è co-posseduta da Thomas Weisel, leggenda della Silicon Valley e della bolla del dot com, tutt’ora uno dei banchieri più potenti d’America. La confessione televisiva è quindi solo la versione per il grande pubblico di un accordo segreto che Armstrong starebbe contrattando con l’Usada e con il Dipartimento di Giustizia Federale. Che ovviamente esigono però in cambio una confessione seria e circostanziata: i nomi dei pesci grossi che hanno permesso ad Armstrong di agire indisturbato per vent’anni contando su ogni tipo di protezione in ambito sportivo, medico e legale. E il nome più pesante, e più rischioso, è proprio quello di Weisel. Dopo le lacrime, ad attendere l’uomo bionico da 100 milioni di dollari c’è ora la scalata più difficile: altro che Tour de France.