Cronaca

Scontri in piazza, un codice identificativo per gli agenti anche in Italia

L’intervista del ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri di ieri è piuttosto singolare per diversi motivi. Intanto fa sorgere qualche dubbio: ma se il ministro in persona non era al corrente delle violenze della polizia nelle piazze del 14 Novembre, dei ragazzi pestati mentre erano già a terra immobilizzati e dei lacrimogeni “rimbalzati” dai tetti del Ministero della Giustizia, chi ha dato gli ordini per quello che è successo? Il problema della deresponsabilizzazione della politica rispetto ai problemi del paese, che sempre più spesso vengono risolti come questioni di “ordine pubblico”, è diventato più che urgente. E dovrebbe indurre prudenza in quei politici che in queste ore si stanno sbracciando per dimostrare la loro solidarietà senza critiche alle forze dell’ordine. Ma allo stesso tempo indignare chi in buona fede sostiene ancora che ci sia uno Stato di diritto da difendere.

Lo status di tecnico non è una scusa valida. La verità è che da un anno a questa parte episodi come questi si stanno moltiplicando senza che vengano presi seri provvedimenti nei confronti dei responsabili. E per un banale motivo: spesso non è possibile identificarli. Come è successo, per esempio, a Bologna nel caso del poliziotto che durante la manifestazione contro la Banca D’Italia del 12 ottobre 2011 ha spaccato tre denti a Martina, studentessa del collettivo Sadir. A un anno di distanza il presunto responsabile è stato riconosciuto attraverso le foto scattate da chi era in manifestazione, non certo grazie alla collaborazione della polizia, ed è stato rinviato a giudizio.

Ha un bel dire il ministro Cancellieri, quindi, che ci sono buone ragioni sia in chi sostiene l’introduzione del codice identificativo, sia in chi non lo vuole. Soprattutto perché non porta uno straccio di motivazione né per l’una né per l’altra tesi (senza che l’intervistatore Carlo Bonini avesse nulla da ribattere). Eppure da più di un anno c’è una campagna aperta, come ha fatto notare anche Amnesty International, proprio in relazione alle violenze della polizia del 14 Novembre. Le prese di posizione in rete si moltiplicano ma nessun media nazionale sembra volerne fare una campagna di civiltà. E intanto perfino la Francia ha ripristinato i codici identificativi a tutela dei cittadini. Un argomento valido se solo qualche fan del “ce lo chiede l’Europa” se ne volesse occupare.

Rispetto a tutto questo alcuni commentatori, tra i quali Massimo Giannini su Repubblica, non hanno resistito a fare dei paralleli col G8 di Genova, per supportare l’idea di scontri di piazza che hanno suscitato una “violenza esagerata dello Stato”. Questa mattina il capo della polizia, Antonio Manganelli, intervistato sempre da Repubblica dice: “Quella pagina è chiusa. E mi pare che i fatti, anche di questi giorni, lo dimostrino. Se poi qualcuno vuole continuare a utilizzare il richiamo al G8 di Genova come alibi, se ne assume la responsabilità. Io non ho intenzione di prestarmi al gioco. Anzi, lo voglio smontare”. Peccato che in questo modo si banalizzi il risultato di 11 anni di inchieste e di indagini, nonché l’esito dei processi, che hanno spiegato, in maniera chiara, l’uso delle forze dell’ordine per “disegni politici”, come ebbe a dire Franco Giardullo, del sindacato di polizia SIULP. E soprattutto si evita di rispondere a domande ancora aperte: come sia stato possibile l’alto numero di prescrizioni per i reati a carico dei poliziotti, denunciato dall’avvocato di parte civile Emanuele Tambuscio? Come mai ancora a luglio di quest’anno c’era un balletto di responsabilità tra i ministeri sui rimborsi per i danni subiti dai manifestanti? Quale scenario aprirebbe un eventuale rinvio a giudizio dell’ex questore Colucci per falsa testimonianza? Un problema di trasparenza e credibilità che riguarda non solo Genova. Proprio oggi Patrizia Moretti ha fatto notare che, nonostante le rassicurazioni del ministro Cancellieri, i 4 poliziotti responsabili della morte del figlio Federico Aldrovandi sono ancora tutti a loro posto.

I ragazzi che hanno manifestato sono consapevoli di vivere in un paese gravato da questi ed altri problemi perennemente irrisolti. Dove nell’ultimo anno si sono visti appiccicare lo status di “generazione perduta” dal premier Monti e di “choosy” dalla ministro Fornero. Dove leggono dell’orribile balletto di responsabilità intorno alla vicenda della trattativa stato-mafia, che chiama un pezzo di storia tutt’altro che risolto nel nostro paese, e nonostante questo firmano appelli per restare. Hanno visto AcabDiaz e Black Bloc eppure devono constatare che ci sono ancora dirigenti di polizia che vengono promossi. Vedono svanire le prospettive di futuro, tagliare università, scuola e sanità, mentre si continua a spendere soldi per i costosi F35. Alla luce di tutto questo ammansirli con le frasi di rito sulla tenuta delle istituzioni ora non solo non può produrre effetti, ma ha il sapore di un ennesimo insulto. Alle loro e alle nostra intelligenze.