Media & Regime

Guerra aperta al Corriere sul piano che spazza via la prima linea di manager

Mentre gli azionisti sembrano aver raggiunto più miti consigli con la prima bozza del piano atteso per dicembre che ha iniziato a circolare, il fronte si è spostato ai piani inferiori, dove gli alti dirigenti non fanno mistero dell'avversione nei confronti del nuovo amministratore delegato molto vicino alla Fiat. E, viste le ipotesi sul piatto, non a torto

E’ ormai guerra su tutti i fronti in casa Rcs. Dopo i forti scontri tra gli azionisti che la scorsa primavera hanno visto tra il resto Diego Della Valle sparare ad alzo zero contro Mediobanca e la Fiat, ora all’editrice del Corriere della Sera è venuto il turno di dipendenti e manager. Al centro delle tensioni il piano industriale che il nuovo amministratore delegato, Pietro Scott Jovane, sta approntando per tentare di salvare il gruppo editoriale schiacciato da debiti per quasi 800 milioni di euro e perdite che a metà anno hanno toccato quota 427 milioni di euro, superando per valore un terzo del patrimonio della società rendendo improcrastinabile un aumento di capitale che gli stessi giornalisti del Corriere hanno recentemente stimato in 400 milioni di euro.

Un’ipotesi che non piace a buona parte della vasta compagine azionaria del Corriere della Sera che conta banche come Intesa e Mediobanca, industriali come appunto la Fiat o l’imprenditore della sanità lombarda Giuseppe Rotelli – lo stesso che quasi un anno fa ha rilevato il San Raffaele che fu di don Verzè dove oggi si annunciano 244 licenziamenti – le assicurazioni Generali, Della Valle, la Pirelli di Marco Tronchetti Provera e i signori bergamaschi del cemento, i Pesenti. Anche se in questi giorni il fronte del no sembra essersi rotto, viste le dichiarazioni di apertura alla ricapitalizzazione rilasciate prima dal presidente di Intesa, Giovanni Bazoli e poi da Mediobanca. 

E proprio mentre gli azionisti sembrano aver raggiunto più miti consigli con la prima bozza del piano atteso per dicembre che ha iniziato a circolare, il fronte si è spostato ai piani inferiori, dove la prima linea dei manager non fa mistero dell’avversione nei confronti del nuovo amministratore delegato molto vicino alla Fiat e al suo presidente John Elkann. Anche perché proprio gli alti dirigenti sembrerebbero essere i primi destinatari del taglio di teste programmato da Scott Jovane. L’uscita del direttore generale della divisione Quotidiani, Giulio Lattanzi, trapelata oggi, è infatti solo l’assaggio. 

Tra le ipotesi allo studio, secondo quanto raccolto dal Fattoquotidiano.it, c’è anche la sostituzione dell’ex direttore finanziario Riccardo Stilli che alla nomina di Jovane, dopo aver fatto da ponte tra vecchia e nuova guardia, era stato promosso direttore generale del gruppo. Sorte analoga allo studio per le risorse umane dal 2004 nelle mani dell’economista Monica Possa, la figlia del senatore Pdl Guido, col quale non condivide l’orientamento politico. Naturale che a fronte di queste ipotesi si sia scatenato l’aperto malcontento dei dirigenti di fiducia di due manager di lungo corso per il gruppo, per di più in ruoli chiave.

L’aria non migliora nelle redazioni dove torna di attualità il tema dei periodici e, quindi, della chiusura di almeno dieci testate su trentacinque, che comporterebbe il taglio come minimo di sessanta persone, mentre per l’intero gruppo oggi il quotidiano Mf ipotizzava 500 esuberi. Una situazione che diventa ancora più esplosiva se si pensa che non è escluso che nel calderone ci finisca anche l’editoriale La Stampa del gruppo Fiat, con il Lingotto che deve trovare una soluzione finanziariamente e sindacalmente sostenibile per sottoscrivere l’aumento di capitale di Rcs mentre i dipendenti dell’auto sono più tempo in cassa integrazione che alla catena di montaggio. A meno di conferire a Rcs il quotidiano torinese al posto del denaro sonante.  Una soluzione che tra il resto avvicinerebbe il direttore della Stampa, Mario Calabresi, alla prima poltrona del Corriere ora occupata da Ferruccio De Bortoli