Cultura

Mo Yan, dall’esercito al Nobel per la Letteratura

Lo sguardo mite e saggio del premio Nobel per la letteratura 2012, lo scrittore e sceneggiatore cinese Mo Yan, in cinese “colui che non vuole parlare” (il suo vero nome è Guan Moye), mi fa venire subito voglia di parlare dei suoi libri: dieci per l’esattezza, pubblicati in Italia da Einaudi, eccetto l’ultimo che ho amato fin dal titolo: Cambiamenti, pubblicato nel 2011 dalla piccola e prestigiosa casa editrice Nottetempo che in questo momento immagino stia brindando. Ma tutti i titoli dei suoi romanzi sono bellissimi: Sorgo rosso, Grande seno, fianchi larghi, Il supplizio del legno di sandalo, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao e il racconto Il ravanello trasparente, per citare i più noti.

Riporto in sintesi la motivazione della giuria svedese; «il suo allucinato realismo mescola racconti popolari, storia e contemporaneità».

Nato nella regione dello Shandong 57 anni fa, Mo Yan proviene da una famiglia di contadini; in Cambiamenti, il titolo è una spia di quella che è stata la sua avventura esistenziale, racconta la sua vita dal 1969 al 2009 e il lettore percorre seguendo la voce narrante in prima persona, la trasformazione incredibile della società cinese, che, senza abbandonare completamente i principi di Mao realizza quella forma di selvaggio capitalismo di cui ancora oggi siamo spettatori. Il romanzo breve, o meglio questa piccola splendida autobiografia, ci fa capire meglio di qualsiasi saggio cosa abbiano significato per il colosso cinese questi ultimi 40 anni. Il racconto si apre con un gruppo di bambini che sogna di fare un giro sul Gaz-51, vecchio camion di fabbricazione sovietica. Da lì in poi la strada di Mo Yan è un susseguirsi di svolte, cadute, ritorni: abbandonata la scuola alla fine delle elementari, spedito a lavorare come operaio in un cotonificio, il protagonista spende parte del suo tempo a leggere i grandi classici della letteratura cinese e impara a recitare a memoria poesie di antiche dinastie. Si sta formando in lui lo scrittore: ma da lì al Nobel la strada è lunga.

L’ingresso nell’esercito nel 1976 è l’opportunità per fuggire dal suo villaggio. Costretto in una località sperduta a coltivare patate, approfondisce il suo sentire la natura, mentre la visita alla salma del presidente Mao, la cui morte era «come se le montagne fossero crollate di schianto e la terra si fosse aperta», diventa per lui la prova che «a questo mondo non esistono gli dei». Diventato istruttore politico e insegnate di filosofia ed economia nell’esercito, nel 1981 pubblica il suo primo racconto Pioggia di una notte di primavera sulla rivista “Laghetto dei loti” e da lì in poi la vita cambia di nuovo.

Nel 1987 Mo Yan finalmente ottiene un grande successo nel suo paese con il romanzo Sorgo rosso; il sorgo è un tipo di cereale dalla spiga rossa e dà il titolo al libro perché in un campo di sorgo rosso si consuma l’amore tra Yu e la bella Nove fiori, promessa in sposa al vecchio padron Li.

Un bel giorno Mo Yan vede arrivare nel suo villaggio il regista Zhāng Yìmóu, accompagnato dalla giovane e bellissima Gong Li, intenzionati a fare del romanzo un film. Il film farà valicare allo scrittore i confini cinesi e nel 1997 esce la prima traduzione in italiano di Sorgo rosso.

“Fin da piccolo” scrive in Cambiamenti, “sono sempre stato un povero infelice, un disgraziato a cui le furbizie si ritorcono sempre contro. Persino i tentativi di ingraziarmi i maestri venivano presi come macchinazioni ai danni loro». Non ha avuto bisogno di ingraziarsi i maestri del Nobel: “a colui che non parla” è bastato scrivere.