Cultura

Caro Bellocchio, bisogna saper perdere

Sanremo ‘67 , di Giuseppe Cassia e Ruggero Cini, cantano (Lucio Dalla e) The Rokes: “Bisogna saper perdere / non sempre si può vincere / e allora cosa vuoi?”. Nel ‘67 a Venezia Marco Bellocchio vinceva il Fipresci dei critici, soprattutto, il Premio speciale della Giuria con La Cina è vicina. Più pesante dell’Osella tecnica a Buongiorno, notte nel 2003, più competitivo del Leone d’Oro alla carriera dell’anno scorso. Buongiorno, notte fu – per alcuni, forse, per i più – scippato da Il ritorno, il penultimo (Faust) russo al Lido capace, seppur con il solito formalismo, di interessarci a una storia. Per alcuni, forse per i più, fu uno scandalo, un reato di lesa maestà, soprattutto nei confronti della nostra Storia, quella più plumbea. Gli stessi, o forse altri, hanno poi visto nel Leone alla carriera del 2011 il risarcimento per quello scippo, senza capire che così facendo non ricompensavano Bellocchio, ma svalutavano la ratio del premio.
Marco Bellocchio
Marco Bellocchio alla Mostra del Cinema di Venezia - Foto: LaPresse
Insomma, con Venezia ha un conto aperto e riaperto più volte, ma quando al Corriere (10 settembre) dichiara “non parteciperò mai più a un festival. Questo è stato l’ultimo della mia carriera” Bellocchio sbaglia (leggi, crediamo sbagli). Non quando realizza che “ho partecipato alla competizione e sono stato sconfitto”, ma quando cita Aznavour – “La dignità devi salvar malgrado il male che tu senti, devi partir senza tornar…” – per chiudere i propri orizzonti: non ci sarà una prossima volta in competizione per un film di Bellocchio, e non solo a Venezia.

Soprattutto, Bellocchio sbaglia perché risponde non a virgolettati, ma ai rumors dei soliti ben (dis)informati: a microfoni spenti, un membro della giuria – leggi, Michael Mann – avrebbe detto che i nostri film sarebbero “poco capaci di varcare i confini, troppo autoreferenziali…” (Corriere). Alla catena di Sant’Antonio dei dicunt, Bellocchio risponde in prima persona singolare e sdegnata, ma perché mettersi sullo stesso piano del fetido backstage, che sappiamo popolato da lingue lunghe, arsenico e vecchi merletti? Secondo, dopo aver dichiarato che “vista la mia età, a Venezia sarei andato volentieri fuori concorso, poi ho pensato che un film è un’opera collettiva e sarebbe stato ingiusto penalizzare gli altri” perché rimangiarsi la difesa di quel collettivo in perenne assemblea che è il cinema? Perché, detto che accetta la sconfitta, quel “comunque ho preso una decisione: non parteciperò”.

Bellocchio dice basta perché – non parrebbe – ha perso o perché ha perso male, con i lunghi coltelli – autoreferenzialità, non esportabilità – che l’hanno colpito nel dietro le quinte? Poco importa, in entrambi i casi sbaglia. Perché quel “comunque” non è il comunque vada, ovvero l’olimpionico “l’importante è partecipare”, ma rischia di diventare, sobillato dal copia&incolla del dietro le quinte, “comunque dovevo vincere”. Gli risponderemmo che Vincere, vincere per davvero, l’ha già fatto, nonostante Cannes non abbia contraccambiato alla lettera. Soprattutto, gli rispondiamo con la lectio magistralis del suo Bella addormentata: il franzeniano “se sono libero di scegliere, allora come devo vivere?” e il bellocchiano “se sono libero di scegliere, allora come devo guardare?”. Innanzitutto, si guardi le spalle, Bellocchio, perché le pacche sono infide: “Non è credibile che a Cannes e a Berlino veniamo premiati mentre a Venezia siamo addirittura sbeffeggiati e censurati dal presidente di giuria di turno che tappa la bocca ai giurati”.

L’ha detto Francesco Giro, l’ex sottosegretario alla Cultura Pdl, ma di Bella addormentata che dice? “Abbiamo dei direttori della mostra deboli anzi debolissimi, succubi e non carismatici che peraltro selezionano malissimo i film perché a leggere le indiscrezioni e i giudizi riservati dei giurati su Bellocchio sembra di capire che il suo film non valga nulla. Allora abbiamo sbagliato anche lì”.

Siamo certi che a Bellocchio girino per la “disamina” di Giro, ma allora perché dare adito, perché ospitare nani vocianti sulle proprie spalle? Nella migliore delle Italie possibili, Bellocchio avrebbe ridetto: “Ho partecipato alla competizione e sono stato sconfitto”. E, a chi gli dava contezza dei rumors di Mann & Co, avrebbe risposto: “Non mi interessa, grazie. Ci vediamo l’anno prossimo”. In Concorso a Venezia, con un sequel: Rivincere.

Il Fatto Quotidiano, 11 Settembre 2012