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Caso Morosini, tre medici indagati per omicidio colposo

Gli iscritti nel registro degli indagati furono i primi a soccorrere il calciatore che si accasciò a terra della gara Pescara-Livorno, disputata il 14 aprile scorso. I provvedimenti sono stati presi dal sostituto procuratore Valentina D’Agostino

La Procura della Repubblica di Pescara ha deciso di iscrivere oggi sul registro degli indagati, per omicidio colposo, i tre medici che intervennero a prestare le prime cure a Piermario Morosinilo sfortunato giocatore di 26 anni del Livorno accasciatosi a terra in campo per un malore lo scorso 14 aprile, durante Pescara-Livorno di Serie B, e poi deceduto in ospedale.

I tre indagati sono il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini e quello del Pescara Ernesto Sabatini, oltre a Vito Molfese, il medico del 118 che era in servizio quel giorno allo stadio. Nel mirino dell’accusa è il mancato utilizzo del defibrillatore. Contattato da ilfattoquotidiano.it, il medico del Livorno Porcellini ha preferito non commentare la notizia, mantenendo la linea di silenzio scelta fin da subito.

Com’era stato dapprima affermato da diversi testimoni, e poi certificato dalle prime indagini che avevano portato la Procura ad aprire inizialmente un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti, quel giorno allo stadio Adriatico c’erano ben tre defibrillatori a disposizione: due a bordo campo e uno all’interno dell’ambulanza. Ma nessuno si prese la briga di utilizzarli. Né nei lunghissimi sei minuti e quattordici secondi che passarono dal malore di Morosini alla sua uscita dallo stadio in ambulanza, né tantomeno una volta sull’ambulanza durante il percorso dallo stadio all’ospedale. Un fatto, quello del mancato utilizzo del defibrillatore, che fu confermato anche da primario di cardiologia dell’ospedale civile di Pescara, Leonardo Paloscia, che si trovava sugli spalti e che fu sentito dalla Digos come persona informata dei fatti.

Come rivelato allora da un’inchiesta de ilfattoquotidiano.it all’epoca, la legge sulla presenza dei defibrillatori durante le manifestazioni sportive era piuttosto lacunosa. Tanto che è solo nel ‘decreto sanità’ appena approvato il 5 settembre in Consiglio dei Ministri che è stato deciso l’obbligo della presenza del defibrillatore fino alle categorie dilettantistiche. Il caso Morosini fece scalpore anche perché seguiva solo di poche settimane l’analogo caso del giocatore del Bolton Muamba, anche lui vittima di un arresto cardiaco in campo, la cui vita fu però salvata proprio grazie al pronto utilizzo del defibrillatore da parte dei medici che per primi gli portarono soccorso.

Fino ad’ora le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Valentina D’Agostino, hanno stabilito che è stata una cardiomiopatia aritmiogena a stroncare la vita di Piermario Morosini, come emerso dalla relazione del medico legale D’Ovidio depositata lo scorso luglio. La cardiomiopatia aritmiogena è una malattia, di probabile origine genetica, che produce aritmie ventricolari e che spiega pertanto quell’area cicatriziale individuata nella zona ventricolare sinistra al momento dell’autopsia sul corpo di Morosini. Ma, fin da subito, la domanda che si sono posti gli investigatori è stata se l’utilizzo del defibrillatore avrebbe potuto salvare la vita del povero Piermario. La prima risposta è nella decisione di oggi della Procura di iscrivere nel registro degli indagati, per omicidio colposo, i medici che possono essere ritenuti responsabili di non averlo utilizzato.