Cultura

Ve lo do io Beppe Grillo

E’ uscita il 10 luglio la riedizione del mio libro “Ve lo do io Beppe Grillo” con prefazione di Marco Travaglio. Ecco un anticipo della nuova introduzione.

La prima edizione di Ve lo do io Beppe Grillo è uscita a metà aprile 2008, pochi giorni prima del secondo V-Day di Torino. Scrivere un libro su Grillo, dandogli addirittura dignità politica, sembrava un azzardo. Peggio: un’eresia (..) Ricordo dibattiti memorabili con Maurizio Gasparri, in orgasmo permanente dopo la vittoria del centrodestra su Veltroni (quindi giocando da soli). A proposito. A volte mi chiedono se quelli come Gasparri, dal vivo, sono come sembrano. No: peggio (..)

Nella prefazione, Marco Travaglio si è divertito a mettere in fila tutti coloro che avevano sottovalutato (eufemismo) il fenomeno Movimento 5 Stelle. Un trattato esilarante. Soprattutto quando parla di Gianni Riotta, il “Clark Kent di se stesso” (..) La grande “colpa” di Beppe Grillo è avere messo in discussione l’egemonia culturale della sinistra democratico-salottiera. Durante il berlusconismo, bastava dire di non votare centrodestra per raccogliere applausi (..) Grillo ha catalizzato quei delusi di sinistra che, per nulla berlusconiani, non si sono fatti bastare più le ammuine pavide e corree del Partito Democratico (e antesignani). Il maestro Eugenio Scalfari, che sul Movimento 5 Stelle ha perso una quindicina di treni e ancora non ha smaltato il fuso orario, parla a un pubblico diverso. Gli internauti che seguono Grillo non gli riconoscono alcuna superiorità culturale. A gran parte di loro, di quello che scrivono lui, Michele Serra o altri (bravi) intellettuali più o meno inclini alla gauche caviar, non interessa sostanzialmente nulla (..) Ogni volta che si deve “spiegare il fenomeno grillino”, in tivù vengono chiamati i Buttiglione e le Bindi. Come chiedere alla Binetti di raccontare un porno. Uno come Buttiglione, probabilmente, scrive ancora col Vic 20: cosa può saperne della Rete? Nulla (..) 

Il “grillino”, agli occhi del “piddino”, appare “quasi uguale a me”. Un rivale diverso da tutti gli altri, difficilmente etichettabile (ahi) e dunque insidiosissimo. Da qui il bombardamento a tappeto. E’ come se, con Grillo e il Movimento 5 Stelle, il Postulato Del Meno Peggio – ciò che tiene in vita questi gerarchi tremebondi che costituiscono la colpevolissima nomenklatura del centrosinistra – fosse imploso (..) Se Repubblica odia Il Fatto perché ha infranto il postulato dell’intoccabilità pontificio-scalfariana, il Pd detesta il M5S per lo stesso motivo. Dire “Io sono contro Berlusconi” non basta più. Sempre ammesso, poi, che il Pd sia mai stato contro. O lo sia adesso (..)

Beppe Grillo è un comico che usa il linguaggio satirico applicato alla politica. Ciò crea continui cortocircuiti semantici, su cui si inserisce la critica più facile. Si insiste sulla forma per non parlare del contenuto. Grillo è spesso volgare, sgradevole, non condivisibile. Si potrebbe parlare per ore di quanto, artisticamente, gli spettacoli di dieci anni fa fossero superiori alle arringhe attuali. Lo sottolineavo anche nel 2008. Ci sono però tre considerazioni molto più importanti. La prima è che il dibattito sulla volgarità è la riedizione del guardare il dito e non la Luna. Il dito di Grillo è probabilmente sporco, ma forse andrebbe quantomeno sbirciata la Luna (che tanto sporca non sembra). La seconda riguarda il concetto stesso di volgarità: è più sgradevole il “cazzo cazzo culo culo” di Grillo o il comportamento tenuto negli ultimi vent’anni da gran parte della “casta”? La terza, quella che i “moderati” non sono proprio disposti ad accettare, è che Grillo convince anche grazie agli eccessi. Non è solo parlare alla pancia. Non è solo tecnica da giullare. C’è il percorso da guastatore intrapreso, contro tutto e contro tutti, da quasi trent’anni. C’è la credibilità nel ruolo di portatore sano dell’indignazione popolare (e chi si indigna, è fatale, ogni tanto si incazza). C’è il potersi permettere il turpiloquio, perché in lui suona coerente (credibile, pertinente).

E c’è il parlare un linguaggio in cui tanti si riconoscono. Quando ascolti una Santanchè, credi di assistere a un pessimo remake di Guerre Stellari con lei nei panni botox di Darth Vader. Quando ascolti Bersani, dormi. Quando invece Grillo recita la parte del finto arrabbiato, usa la stessa terminologia che adotterebbero gli elettori comuni se si trovassero davanti le Fornero e i La Russa. Molti italiani parlano un linguaggio diverso. Non è quello di Berlusconi e neanche quello dei salotti buoni. E’ gente che non si siede nei divani della Dandini e non ride con la Littizzetto. In Grillo, forse sbagliando, queste persone (spesso 18-35enni) credono di individuare un catalizzatore credibile. Persino coraggioso. Addirittura divertente. E a quel punto la scelta è fatta.