Cultura

Per un pugno di alieni

Ancora prima della ferrovia sono gli alieni ad arrivare nella polverosa città di Absolution. Senza passato e con un singolare bracciale al polso sinistro, il cowboy di Daniel Craig percorre quelle strade, entra in conflitto con il figlio prepotente di un colonnello che tiene in scacco la popolazione e finisce in galera. Poi la collisione con l’altro orizzonte dichiarato dal secondo termine del titolo lo rende un eroe cui spetta una bella uscita di scena.

Cowboys & Aliens non si preoccupa di amalgamare o contaminare, piuttosto preferisce allineare diversi mondi, facendo scorrere parallelamente le essenze di due tra i generi più popolari di sempre. Da una parte i cowboy, dall’altra gli alieni, lo stato polveroso dell’Arizona nel 1873 e un nugolo di navicelle a forma di insetti che non vorresti mai incontrare. In mezzo solo “&”, una “e commerciale”. Ecco un film di rara chiarezza programmatica, incontrovertibile e secco, più onesto che sciocco.

Otto sceneggiatori accreditati e nessuna idea migliore per attrarre gli spettatori? Che alla base dello script dell’attesa pellicola – nelle sale dal 14 ottobre – ci sia l’omonima graphic novel di Scott Mitchell Rosenberg poco conta. Non è per riverenza verso la fonte che il nuovo blockbuster targato Dreamworks/Universal si chiama così. Senza tentare la via del camuffamento scelto da quei cineasti che nascondono sotto un’ambientazione contemporanea gli stilemi di John Ford, Cowboys & Aliens mette in scena pistole e cavalli, tentando di scongiurare la poca fortuna legata negli ultimi anni al western con un’affidabile lista degli ingredienti – visualizzata anche nella lapalissiana locandina – ad uso e consumo del fruitore. In più c’è la fantascienza, legata ugualmente ad alterne sorti, ma di certo più attraente per i giovani. Se avete voglia di cowboy e alieni, per quanto strano possa sembrare, questo è il film per voi, altrimenti statene alla larga. Ecco la genialità e, insieme, la rischiosità dell’operazione.

Il regista Jon Favreau, che dimostra di muoversi bene su entrambi i fronti, dirige il modello archetipico dei due avventurosi universi – un rapimento e una ricerca – stando bene attento a dare dignità alla separazione in casa dei singoli elementi. Esclusa la sua totale impermeabilità alla parodia, il padre di tutti i generi riesce comunque a convivere con i figli più disparati, facendosi sfondo neutro per qualsiasi anomalia. Per questo, vedere un ragazzo del Diciannovesimo secolo preda di un alieno per nulla benintenzionato oppure navi spaziali volare sopra uomini a cavallo non crea attrito né opposizione di sorta.

Meglio del bolso Harrison Ford – il colonnello che l’intrinseca convenzionalità del prodotto vuole destinato ad una metamorfosi – tra la terra arsa, i saloon e le escrescenze carnose di altri mondi sta a ottimo agio la faccia bellissima e naturalmente di frontiera di Keith Carradine, cowboy genuino, cresciuto sulla polvere di Robert Altman, Samuel Fuller e Walter Hill.