Politica

Tonino, che combini?

Gentile e ruspante onorevole Antonio Di Pietro, in questi lunghi anni di basso impero lei ha avuto molti meriti. Su tutti, oltre a quello di rimanere violentemente antipatico a quella sagoma inconsapevole di Filippo Facci, l’aver fatto quasi sempre da solo opposizione al Satiro Tascabile.

Certo, è stato “aiutato” dal peggior centrosinistra d’Europa, la cui assenza – peggio ancora: il cui essere funzionali al Drago di Hardcore – ha permesso che lei, prototipo dello sbirro destrorso, divenisse approdo di molti delusi di sinistra.

Ciò non cancella i meriti di un’opposizione dura, a volte colorita e  sopra le righe, ma vera.

Il successo dell’Italia dei Valori poggia sul ritenere decisivi temi (per altri minori) quali legalità e questione morale. Il suo è un elettorato esigente e diffidente. Che, in quanto tale, nulla perdona. Neanche a lei: se abitua un pubblico all’intransigenza, verrà ripagato con la stessa moneta.

E’ accaduto anche a Daniele Luttazzi: avendo incarnato per decenni la satira dura e pura (peraltro di qualità elevatissima), lo scivolone “plagi” non gli è stato perdonato anzitutto dai fans. Fosse accaduto a Madamin Littizzetto, nessuno lo avrebbe notato.

Analogamente, se Priapino risulta sempre più inqualificabile, la sua plebe se ne frega. Ci è abituata: si sente a casa, quando Berlusconi commette dolo.

Lei, onorevole Di Pietro, non può permetterselo. Per questo la decisione di imporre suo figlio Cristiano come candidato alle Regionali per il Molise appare, come minimo, un autogol politico. Anche ammesso che suo figlio rivaleggi per caratura politica con Engels, e sia giunto a tale onore per vie canoniche e non facilitate, tale mossa suona come un atto familistico e padronale (non certo il primo). Una berlusconata gradassa, un conato bossista.

I suoi detrattori, da destra e da “sinistra”, non aspettavano di meglio. Glielo rinfacceranno in eterno.

Purtroppo, gentile e ruspante onorevole Di Pietro, Lei non è nuovo a errori dozzinali. Chi scrive è stato uno degli autori – l’altro fu Salvatore Borsellino – delle 10 domande sulla questione morale nell’Italia dei Valori, pubblicate da MicroMega e a cui ebbe la compiacenza di rispondere. Di fronte alla successiva inchiesta sull’Idv di Mario Zerbino, dalla quale emergeva il quadro di un partito che predicava bene su scala nazionale ma razzolava (spesso) malissimo su scala locale, reagì con meno aplomb.

Sono passati gli anni e il suo partito, che rimane troppo legato alla sua figura (e a quella di Gunny De Magistris, con cui non risulta abbia rapporti idilliaci), continua a trovarsi invischiato in harakiri vari.

Passi il suo eloquio sgangherato, sperando che il motto morettiano “chi parla male pensa male” non corrisponda qui al vero; passino le sue interviste in cui dice un giorno sì e l’altro pure di voler calamitare i voti di destra (lo ripeteva anche Veltroni e si è visto quanto ciò lo abbia portato lontano).

Non passano, e non passeranno, il candidare i De Gregorio e gli Scilipoti
. Era sufficiente una sua conoscenza minima dei precetti lombrosiani per tenersi alla larga da quegli sgherri: lei, invece, è stato l’ultimo a scoprire l’acqua calda.

Ora è la volta dell’imposizione di suo figlio in lista, già battezzato (senz’altro con immotivata perfidia) “il Trota del Molise“.

L’Italia è in mano a un personaggio raggelante, circondato da una cricca dannosissima. L’opposizione è in mano a sepolcri imbiancati, retori vezzosi e intellettuali spuntati (mi auguro che l’auspicato Patto di Vasto non conduca a nuove Bicamerali o Guardasigilli Mastelliani).

Il suo ruolo, onorevole Di Pietro, è decisivo. Se però continua a prendere decisioni tra il fantozziano e il tafazzesco, non andremo da nessuna parte.

Basta con questi caudilli
, con questi peones, con questi nepotismi. Basta. O da questo incubo non usciremo più.