Diritti

Le donne italiane sono le più infelici

Non lo dico io, è stato The Telegraph che ha sparato questa statistica: il 76% delle casalinghe italiane (tra le europee) sono insoddisfatte della propria vita. In Gran Bretagna lo sono per il 51%, in Germania per il 53%, in Francia per il 57% e in Spagna per il 63% (man mano che si scende al Sud dell’Europa, aumenta la percentuale). Le italiane si preoccupano per la crisi economica, la difficoltà di rientrare nel mercato del lavoro dopo la nascita dei figli e la mancanza di asili-nido e sostegni alla maternità. Metà di loro (anche se il giornalista non specifica se siano solo le casalinghe ad affermarlo, o tutte) hanno dichiarato il loro pentirsi di essersi sposate e addirittura i due terzi di aver avuto figli.

Specularmente, il 70% degli uomini italiani non ha mai utilizzato un forno e il 95% non ha mai riempito una lavatrice. Ricordo, infine, che l’Italia è scivolata al 74° posto (peggio del Kazakhistan) nella classifica del World Economic Forum in merito alle discriminazioni di genere.

L’articolo del Telegraph,  asciutto ed essenziale, riporta pure che il primo ministro italiano sia costantemente sotto accusa anche per il peggioramento delle condizioni delle donne italiane, attraverso l’immagine che viene data delle donne sui media di sua proprietà. Sic. I dati sono così trancianti che sarebbe quasi superfluo aggiungere commenti e infatti il giornalista inglese non ne fa.

In Italia le questioni di genere, nonostante la tragicità del problema che i dati evidenziano, sono trattate con indifferenza se non addirittura con sufficienza. Ho pure letto un post di una non-italiana (Tiffany Parks) che liquidava sbrigativamente la statistica riportata su The Telegraph. Ma la Parks parla da privilegiata, quasi stupendosi: non vive la vita delle precarie o delle donne-mamme-figlie-mogli alle prese con sanità, scuola, soldi-che-non-bastano, lavoro-che-non-c’è.

Se s’insiste una volta di più sul tema, si parla di eccessivo clamore, di esagerazioni, di ritorno delle streghe, di vittimismo di comodo. Come già ho scritto in un altro post, la faccenda del ‘femminismo’ viene definita rabbia anacronistica. Qui da noi, se si vuole apparire moderni, non si deve toccare l’argomento o le questioni di genere tout court. Viviamo l’ossimoro di una ministro alle Pari Opportunità che non ci sembra sia stata folgorata sulla via di Damasco per questioni di coscienza o resipiscenza, bensì per altro che non sto qui a ripetere: chi si scandalizza veste  l’abito dello sprovveduto puritano. Anche il ministro del Welfare può pubblicamente prodursi nella freddura sulle suore stuprate senza ritenere di offendere nessuno, neanche la decenza.

Leggendo i commenti ai post ed agli articoli che scrivo sulle questioni di genere, noto con dispiacere che i più arrabbiati sono i detrattori delle pari opportunità, anziché le donne che vivono sulla loro pelle l’anomalia italiana nel contesto occidentale. In effetti – e nonostante il gran lavoro che fanno diverse associazioni – in Italia si tenta di narcotizzare la coscienza delle donne rispetto ai diritti che hanno come cittadine: servizi scolastici, assistenza a famigliari non autosufficienti e/o inabili, mercato del lavoro, tempi della città. Ho letto commenti che sottolineano quanto le donne ottengano di più in caso di divorzio, ma quanti tacciono di quanto tutte le donne abbiano nei fatti di meno rispetto ai temi sociali e di sostegno alle famiglie o all’occupazione (alla sottoccupazione, alla precarietà, al ricatto sulla maternità)?

Non voglio discutere del se, del come e del quanto le tv commerciali abbiano danneggiato le donne nella considerazione generale, ma è un dato di fatto che anche dalle ultime intercettazioni dell’inchiesta di Bari, le donne sono trattate come ‘quarti di bue’ al mercato generale (Lorella Zanardo  parlava di ‘prosciutti’): sono merce (“Chi mi porti stasera?”), hanno un prezzo (contratti, consulenze, incarichi, cariche anche elettive, favori, soldi), agevolano pubbliche relazioni e mercimoni. E molte sono, purtroppo, le donne convinte di questo ruolo di merce.  Indubitabilmente, però, tv, media e pubblicità (vedasi il caso delle bambine con il reggiseno) hanno peggiorato l’immagine delle donne.

Lo stesso Tarantini pare abbia dichiarato che il reclutamento delle donne-escort (con contorno di sostanze stupefacenti) era la chiave giusta per soddisfare le sue ambizioni.

Tutto ciò premesso, non si parlerà mai abbastanza delle questioni di genere in questa Italia di oggi. Sono convinta che sia necessario un aumento di consapevolezza del problema, a cominciare dalle stesse donne al fine di modificare l’opinione comune generale. Tiffany Parks compresa. Ci sono le giovanissime generazioni che ci stanno provando, attuando (stranamente) gli stessi modi e gli slogan di 30-40 anni fa. Evidentemente, a) non si può fare diversamente; b) la rabbia è davvero tanta (e anche il limite ha raggiunto la sua pazienza, avrebbe detto Toto’).

Che ne pensate?

(Come al solito, sine praeiudicio melioris sententiae. Ogni opinione – anche diversa – sarà ben accolta, se posta con garbo ed rispetto. Siamo qui per parlarne, e magari per proporre idee. Non per scannarci!)

di Marika Borrelli