Politica

Bossi verso il crepuscolo. La settimana <br/> orribile di un leader sotto assedio

“L’Italia sta finendo male e bisogna prepararsi al dopo, per noi è la Padania”. Umberto Bossi tenta di ostentare sicurezza. Ma senza troppa convinzione. Dal palco di Schio, alle porte di Vicenza, il Capo evita di affrontare gli ormai evidenti problemi della Lega. La settimana di ferragosto appena trascorsa è stata una via crucis cominciata con la sua assenza da Ponte di Legno il 13 agosto e terminata con la fuga nella notte di giovedì da Calalzo di Cadore, nel bellunese. Due luoghi simbolo del potere del Carroccio e del carisma del Senatùr che fino ad appena sei mesi fa trovava ad accoglierlo sostenitori e simpatizzanti. Invece a Ponte di Legno, dove è arrivato solamente il 15 per il consueto comizio, non ha trovato neanche una mano da stringere. Tanto che nella notte i giornalisti all’hotel Mirella, dove solitamente per avvicinarlo dovevano attendere che terminasse la sfilata di leghisti e turisti in coda per congratularsi, quest’anno non hanno trovato alcun muro di sostenitori. Il deserto. E per quanto la nottata sia durata fino alle sette del mattino non un’analisi politica o una previsione è stata formulata. E dire che fino allo scorso anno ogni notte si consumavano taccuini interi per riportare le parole del Senatùr.

Senza infamia e senza gloria il 16 Bossi ha lasciato Ponte per raggiungere un’altra culla del partito: Calalzo di Cadore, l’hotel Ferrovia dell’amico Gino Mondin, dove da anni il 18 si festeggia il compleanno di Giulio Tremonti, che qui vicino (a Lorenzago) ha una casa e trascorre le vacanze. Ad aspettarlo però c’è il presidente leghista della provincia di Belluno, Gianpaolo Bottacin, il segretario provinciale del partito, Diego Vello, e altri esponenti locali, sostenitori, elettori pronti a contestarlo per la nuova manovra economica. Bottaccin guida la protesta. “Noi mandiamo a Roma ogni anno 800 milioni, ce ne tornano poco più di 20 e adesso tagliano ancora? Non scherziamo”. Bottaccin è infuriato. Si presenta con la bandiera della Provincia listata a lutto e Roberto Calderoli è costretto a riceverlo. Tra i due volano parole grosse, il 40enne ingegnere bellunese prestato alla politica, non le manda a dire. “Io prima rispondo agli elettori e solo dopo al partito”. Sfila la promessa di vedersi anticipato per decreto il federalismo fiscale al primo gennaio 2012. “Lo faremo per decreto”, garantisce Calderoli alla fine dell’incontro mostrandosi sorridente e conciliante alle telecamere. Bottacin non molla: “Sono moderatamente soddisfatto, ma fin quando non lo vedo non ci credo”.

Bossi arriva in tarda serata all’hotel Ferrovia ed evita la protesta. Ma intanto il Carroccio è costretto a cancellare il comizio per paura della sua base. Nessuno avvisa Bossi di quello che succede e quando il mattino dopo scopre che i giornali parlano “solo di questo qui” (si lamenta) decide di evitare i giornalisti per tutta la giornata. Che porta con sé altre proteste. Il sindaco Pdl del paese si presenta al mattino invocando una nuova legge elettorale, il presidente di Confcommercio di Belluno poco dopo reclama più interesse per il territorio. Poi arrivano una trentina di sostenitori del Pd, gli autonomisti che annunciano che non voteranno più la Lega perché “in venti anni ci ha solo preso in giro”, infine gli albergatori della provincia (da Cortina al Lago di Misurina) a chiedere attenzione per il territorio “totalmente abbandonato”. In sottofondo gli insulti continui dalle auto a finestrini abbassati. “Vai a lavorare”, “cialtrone vai a casa” i più gettonati. Un signore a piedi intravede Tremonti e gli grida “Giulio sei finito, siete finiti”.

Il ministro dell’Economia si ferma poco. Bossi e Calderoli, per accoglierlo, escono fuori dall’albergo dove ormai sono asserragliati, ma devono farsi proteggere dagli agenti della scorta. Il clima è talmente pesante che i tre ministri decidono di nascondersi e spostare il compleanno del titolare del Tesoro alla baita dei cervi, sopra Lorenzago. Il 64esimo compleanno di Tremonti si “consuma” con un catering improvvisato e un po’ di vino che alcuni uomini della scorta recuperano a mezzanotte all’hotel Ferrovia. Un’ora dopo gli agenti tornano per fare le valigie di Bossi che alle due di venerdì mattina scappa dalle proteste e va a Gemonio. “È scappato come un ladro”, dice dispiaciuto Gino Mondin. “Ormai è finita una stagione”, aggiunge scuotendo la testa. Bossi si era lamentato del clima trovato. “Brutto, brutto, brutto… Andiamo via”, aveva detto ad alcuni uomini della scorta.

Poi la fuga nella notte per evitare nuove proteste. E ricomparire solo a Schio, venerdì sera, su un palco superblindato, una festa della Lega con “selezione” all’ingresso per timore di contestazioni anche qui. E quel tentativo poco convincente di rilanciare la Padania, come se ancora ci credesse anche lui. La crisi economica, le due manovre in due mesi del governo, l’incapacità della maggioranza a gestire l’emergenza: la gente si è stancata e non crede più alle favole leghiste. Come le giravolte sulle pensioni, non una posizione e una soluzione chiara espressa. “Lunedì ci sarà la segreteria politica, lì discuteremo e individueremo le soluzioni da portare in Aula”, garantisce Calderoli. Mentre il Capo continua a barcamenarsi tra un taglio alle pensioni sì, forse, no, non saprei. Mercoledì notte, l’ultima trascorsa in compagnia di alcuni giornalisti, aveva confidato: “Ora vedremo ma voi state tranquilli, le vostre pensioni non le tocchiamo perché anche io sono un giornalista dai tempi di Lombardia autonomista“. Il giornalino è del 1984, mentre Bossi risulta iscritto all’ordine dei pubblicisti dall’aprile 1996. Un’ennesima bugia di chi ha festeggiato due volte una laurea mai presa.