Cinema

Migliaia di firme contro la lapidazione intellettuale

Questa volta il nostro grazie va al Fatto e alle quasi ottomila persone che hanno già firmato l’appello, lanciato da tanta parte del cinema italiano, per la liberazione del regista iraniano Jafar Panahi, già vincitore del Leone d’oro a Venezia con il film Il cerchio, e condannato dal regime iraniano a sei anni di carcere e all’interdizione per vent’anni da qualsiasi attività di scrittura e ideazione. Nei suoi confronti è stata decretata la lapidazione intellettuale, la condanna a morte del cervello.

“Bisogna impedire a questo cervello di funzionare…”, decretano i gerarchi fascisti contro Antonio Gramsci: lo stesso hanno fatto gli integralisti e gli oscurantisti contro Panahi, contro il suo collega Mohammad Rasulov e contro chiunque voglia solo osare rivendicare i più elementari diritti civili ed umani. Per queste ragioni ci ha fatto piacere vedere come anche a Roma, al cinema Barberini, si siano ritrovate centinaia di persone per chiedere la liberazione dei detenuti politici, per reclamare la scarcerazione di Panahi, di Rasulov e di tutti quelli che si trovano nelle loro condizioni.

Un grazie enorme va alle donne e agli uomini del cinema italiano che hanno voluto in vario modo esserci e testimoniare il loro impegno professionale, civile e politico. Altro che i “mangiapane a tradimento,gli ingrati, i profittatori…” più volte aggrediti da ministri incapaci e cinici che alle opere dell’ingegno preferiscono le opere e le operette di San Silvio da Arcore. Saremmo orgogliosi, come comitato promotore della manifestazione del 12 marzo, di ospitare nel corteo e sul palco di piazza del Popolo Stefania Sandrelli, Ottavia Piccolo, Monica Guerritore, il regista Marco Bellocchio, Andrea Purgatori, per citare solo alcuni di quelli che hanno preso la parola al cinema Barberini. Allo stesso modo, su quel palco e da quel palco, abbiamo chiesto al giornalista iraniano Amhed Rafat di portare la voce e l’appello di chi la Costituzione l’ha persa e vorrebbe riconquistarla.

A tutti quelli che, anche sul Fatto, hanno firmato l’appello per la scarcerazione di Panahi ci permettiamo di dedicare la bellissima lettera che il regista ha spedito al suo amico e compagno Bernardo Bertolucci, che il maestro ha voluto leggere personalmente regalandoci emozioni straordinarie e profonde, consentendoci, per una sera, di essere davvero orgogliosi di stare insieme a questi italiani.

La lettera aperta del regista Panahi

Il mondo di un cineasta è contraddistinto dall’interazione tra realtà e finzione. Il cineasta usa la realtà come ispirazione, la dipinge con i colori dell’immaginazione, creando film che sono la proiezione delle sue speranze e dei suoi sogni.

La realtà è che negli ultimi cinque anni mi è stato impedito di fare film e adesso sono ufficialmente condannato alla privazione di questo diritto per altri vent’anni. Io però so che nella mia immaginazione continuerò a trasformare i miei sogni in film. So anche che come cineasta con una coscienza sociale, non potrò rappresentare i problemi e gli assilli quotidiani della mia gente, ma non negherò a me stesso la possibilità di sognare che fra vent’anni, tutti i problemi saranno stati risolti e io potrò fare film che parlino di pace e di prosperità nel mio Paese.

La realtà è che mi hanno privato della possibilità di esprimere il mio pensiero e di scrivere per vent’anni, ma non possono impedirmi di sognare che fra vent’anni, l’inquisizione e le intimidazioni lasceranno il posto alla libertà e al libero pensiero.

Mi hanno privato della possibilità di vedere il mondo per vent’anni. Spero che quando tornerò libero, potrò viaggiare in un mondo senza barriere geografiche, etniche e ideologiche, un mondo in cui la gente conviva liberamente e in pace, a prescindere da credenze e convinzioni personali.

Mi hanno condannato a vent’anni di silenzio. Eppure nei miei sogni, auspico a gran voce un’epoca di tolleranza, in cui potremo rispettare le opinioni altrui e vivere l’uno per l’altro.

Infine, la realtà della mia sentenza è che dovrò passare sei anni in prigione, durante i quali vivrò nella speranza che i miei sogni diventino realtà. Auspico che i miei colleghi cineasti di tutto il mondo realizzino dei grandissimi film, in modo che quando uscirò di galera, sarò ispirato a continuare a vivere nel mondo che hanno sognato.

Dunque d’ora in poi, e per i prossimi vent’anni, sarò ridotto al silenzio. Costretto a non vedere, costretto a non pensare, costretto a non fare film.

Mi sottometto alla realtà della cattività e dei miei secondini. Cercherò la manifestazione dei miei sogni nei vostri film, sperando di trovare in essi quello che mi è stato tolto.