Cinema

Il film che non piace a Berlusconi

Grazie al cinema italiano, alla sua gente, alle associazioni del settore che, in queste ore, ci hanno regalato una delle più belle e intense manifestazioni che si siano mai viste dentro e fuori l’Auditorium.

Nessuno avrebbe mai scommesso sulla riuscita di una iniziativa promossa e organizzata in pochi giorni, dopo anni di divisioni, di polemiche intestine, di egoismi e spiriti di appartenenza. In quella piazza anfiteatro c’erano proprio tutte e tutti, senza distinzioni gerarchiche, di reddito, di notorietà. Cosi uno accanto all’altro sfilavano Ettore scola e Carlo Verdone, le ragazze e i ragazzi del centro sperimentale di cinematografia, i precari del settore, i lavoratori delle sale cinematografiche, Laura Morante, Isabella Ferrari, Monica Guerritore, Nanni Moretti, Ugo Gregoretti, Giuliano Montaldo, gli scenografi, i falegnami, le truccatrici, e, soprattutto, tantissimi giovani, quelli che hanno nel cuore il cinema e che vorrebbero continuare una lunga e prestigiosa tradizione.

Persino gli scettici hanno dovuto ricredersi e rendere omaggio a questa straordinaria inziativa, così ha fatto, per fare un esempio, la giuria internazionale: Sergio Castellitto, con la consueta generosità, ha voluto leggere l’appello comune e lo ha fatto da presidente della giuria della Festa di Roma. Il pubblico, invece di rumoreggiare si è fermato a battere le mani, ad ascoltare le ragioni della protesta, a solidarizzare con chi stava difendendo anche il nostro diritto a non essere imbavagliati e incappucciati, a poter continuare a vedere e a scegliere tra produzioni diverse, tra linguaggi differenti, tra mondi da scoprire e che spesso non piacciono ai signori e padroni del conflitto di interesse che, poi, sono anche i proprietari delle tv e che, in questa Italia, coincidono con il presidente buono, quello che telefona in questura per i bisognosi.

Mai come in questo caso sarebbe auspicabile una telefonata di Berlusconi e, per di più, questa volta potrebbe farla in sede propria, basterebbe una chiamata al ministro Tremonti per sollecitare l’approvazione di leggi e regolamenti che dormono nei cassetti del ministero della cultura, custoditi dal ministro Bondi, il poeta preferito nel reame di Arcore.

Non si tratta di dare elemosine, o di elargire contributi a fondo perduto, piuttosto si tratta di approvare la riforma del settore, di liberare gli enti dal controllo dei partiti, anche di opposizione, di rinnovare quegli strumenti fiscali che hanno consentito, nell’ultima stagione, l’incremento delle produzioni. Quegli sgravi hanno consentito di triplicare produzioni e incassi e quindi hanno prodotto utili finiti anche nelle casse dell’erario.

A queste domande,poste da mesi, il governo ha risposto non mettendo un euro nella Finanziaria, riducendo il fondo per lo spettacolo al livello più basso dalla sua istituzione e persino prendendo a male parole i promotori della iniziativa, forse faranno qualcosa in un non meglio definito decreto di fine anno.

Iniziativa ingiustificata, condotta da elementi estranei alla cultura italiana, una provocazione”. Più o meno così ha risposto il ministro che, in queste settimane, invece di occuparsi del cinema e dello spettacolo si è dedicato a polemizzare con Fini e a reclamare un lodo per il presidente, se avesse le stesse energie per il cinema, avremmo avuto non uno, ma cento lodi, invece nulla, la faccia feroce la riservano solo e soltanto per chiunque osi ribellarsi alla logica del pensiero unico, funzionale al proprietario unico.

Loro non lo sanno, ma anche l’iniziativa del cinema è il segnale di un malessere non più contenibile, di una rivolta degli interessi e delle passioni, di una ribellione all’Italia delle telefonate in questura, dei conflitti di interessi, dei bavagli, della strafottenza di chi difende i cortigiani e vorrebbe espellere chi si rifiuta di fare il compare o la comparsa.

Gli esclusi sono ormai la maggioranza e sarà un bel problema mettere in riga tutte e tutti, persino il vecchio illusionista farà fatica a ripetere con successo il copione di sempre.

L’esperienza del cinema, come quella delle manifestazioni contro i bavagli, per la Costituzione, per il lavoro e la democrazia dentro e fuori le fabbriche, dovrebbe indurci a considerare la possibilità, durante la discussione e la votazione della Finanziaria, di promuovere una iniziativa comune di tutti i tagliati e gli imbavagliati e di coloro che si avviano a diventarlo.

Stanno tagliando i fondi per la scuola, l’università, per la ricerca, per gli ammortizzatori sociali, per l’editoria, per lo spettacolo, per il cinema, e via discorrendo. Forse è giunto il momento di unire le voci, di rompere ogni barriera di appartenenza partitica o sindacale, di superare ogni dimensione corporativa e di far sentire la voce dell’Italia dell’interesse generale contro le oligarchie delle telefonate in questura, quelli che nascondono la spazzatura vera e riempiono la tv della loro spazzatura e non solo di tipo mediatico…

Vogliamo provarci?