Cultura

Nassirya, Aureliano c’era

“Non voglio che l’argomento principale del film sia la politica, di certo davanti a un evento del genere non è possibile rimanere invariati: le mie ideologie non sono cambiate, sono contrario alle missioni italiane all’estere e mi piacerebbe un’Italia senza esercito, ma ho scoperto l’umanità e imparato come sia impossibile giudicare delle situazioni che coinvolgono esseri umani solo sulla base delle ideologie”.

Parola dell’unico civile sopravvissuto alla strage di Nassirya nel 2003, che quella tragedia l’ha voluta raccontare. Prima con un libro, poi a teatro, infine, con un film, in anteprima a Venezia nella sezione Controcampo italiano e poi in sala con Cinecittà Luce: 20 sigarette è l’esordio alla regia di Aureliano Amadei. 28 anni, anarchico e precario, era andato in Iraq per fare l’aiuto regista: studiava da attore, ma il sogno era passare dietro la macchina da presa… Dall’ospedale americano di Nassirya al Celio di Roma, sfilano politici, militari, giornalisti al capezzale di un ‘eroe per caso’, che non ci sta e si racconta in prima persona, “nonostante l’invalidità: mi hanno ricostruito la caviglia, ma l’osso è in necrosi, sono zoppo. Inoltre, ho riportato la perforazione dei timpani, mentre in corpo ho ancora centinaia di schegge”.

Soggetto dello stesso filmaker con Francesco Trento e Volfango De Biasi, sceneggiatura a otto mani con Gianni Romoli, 20 sigarette è interpretato da Vinicio Marchioni (il Freddo di Romanzo criminale La serie), che “mi ha interpretato molto meglio di quanto avrei potuto fare io stesso”, Carolina Crescentini nei panni dell’amica Claudia, Giorgio Colangeli in quelli del regista Stefano Rolla, che rimase ucciso nell’attentato, e ancora Gisella Burinato, Nicola Nocella, Massimo Popolizio, Orsetta de Rossi.

“Della guerra in Iraq e Afghanistan ci hanno riferito sempre militari, politici o giornalisti embedded, viceversa, senza peccare di megalomania, a rendere il mio punto di vista particolare, fresco, non stereotipato è la mia estraneità alle dinamiche militari”, sottolinea Amadei, precisando come 20 sigarette “vada ben oltre la cronaca: non è un film di guerra, ma di umanità, nella storia privata di un ragazzo romano contrario ed estraneo alla guerra in Iraq, legato ai centri sociali e all’anarchismo, che nell’arco di due ore si ritrova nell’epicentro della più grande tragedia delle missioni italiane all’estero”.

Su cui Amadei conclude: “In questa fase, la nostra società ha bisogno di inviare soldati all’estero, ma un soldato non è diverso da me, ugualmente siamo responsabili dell’uccisione di un civile, indipendentemente da chi imbraccia l’arma. La scelta non è prendere il fucile, non basta dire di essere contrario alla guerra, da allora, trovo impossibile scaricare la responsabilità sulla divisa. Conta l’essere umano che la indossa: la discriminante è umana”.