
La denuncia alla Procura di Roma sui fatti dello scorso maggio ricostruisce le comunicazioni di bordo e chiede la verifica di molte ipotesi di reato, dall'omicidio all'abbandono
Persone annegate in mare, altre respinte in Libia e finite in un centro dove nemmeno le Nazioni Unite hanno accesso. Per SOS Mediterranée, che tra il 24 e il 27 maggio 2025 ha preso parte ai soccorsi con la nave Ocean Viking, ci sono responsabilità da accertare, anche e soprattutto in capo alle autorità italiane […]
Persone annegate in mare, altre respinte in Libia e finite in un centro dove nemmeno le Nazioni Unite hanno accesso. Per SOS Mediterranée, che tra il 24 e il 27 maggio 2025 ha preso parte ai soccorsi con la nave Ocean Viking, ci sono responsabilità da accertare, anche e soprattutto in capo alle autorità italiane che, sostiene la ong in una denuncia redatta dall’avvocata Francesca Cancellaro e appena depositata alla Procura di Roma, si sono preoccupate sopratutto di lasciare l’incombenza ai libici, indipendentemente dal loro effettivo intervento e dalle normative. I libici infatti non raggiungeranno mai l’imbarcazione in pericolo. Né forniranno istruzioni ai primi, parziali (per alcuni fatali) soccorsi, che per ore hanno continuato a sollecitare anche le autorità italiane senza ricevere indicazioni. Almeno secondo la ricostruzione dell’esposto di SOS Mediterranée, che mette in fila le comunicazioni tra il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (IMRCC), quello libico (LYJRCC), il soccorso civile e i mercantili coinvolti. E chiede all’autorità giudiziaria di ricostruire quelle ancora mancanti, per verificare ipotesi di reato che vanno dall’omicidio colposo al naufragio, dal rifiuto di atti d’ufficio all’abbandono di persone, compresi minori e incapaci, e fino al loro respingimento illegittimo.
I silenzi e i morti – A molti sembrerà un copione già scritto: acque internazionali, zona di ricerca e soccorso libica che fa comodo fingere di loro esclusiva competenza, contrariamente alla normativa che mantiene la responsabilità in capo a tutti gli Stati costieri. Ma anche al buon senso, vista la tragica inadeguatezza della Libia e della sua guardia costiera dal grilletto facile. Partiamo dall’inizio: all’alba del 24 maggio la rete di attivisti Alarm Phone segnala due imbarcazioni partite 48 ore prima da Sabratha con oltre cento persone l’una. La guardia costiera italiana interviene sul primo caso ma non sul secondo, a sole 23 miglia di distanza. Il meteo peggiora e anche i libici, usciti con una motovedetta, rientrano. Tocca alla ong Alarm Phone contattare il mercantile MV Bobic, che batte bandiera delle Isole Marshall, si rende disponibile e attende istruzioni dai centri di coordinamento italiano o libico: silenzio. Ocean Viking chiama l’IMRCC che si defila e liquida la chiamata dicendo che sanno quel che va fatto. Ma non lo fanno, anzi rifiutano esplicitamente assistenza alla Bobic sostenendo che ci stanno pensando i libici. La cosa non trova, ad oggi, alcun riscontro nelle successive comunicazioni tra Alarm Phone e il capitano della Bobic, che intanto avvista i naufraghi e avvia il soccorso. Senza attrezzature né addestramento adeguato, e senza coordinamento, il mercantile imbarca 35 persone, ma nelle operazioni alcune finiscono in acqua e non verranno ritrovate. Senza motore e in balia delle onde, il barchino si allontana nella notte con le altre 75. Le autorità ignorano tutte le nuove richieste urgenti della Bobic. Contattato da Ocean Viking, l’IMRCC si defila un’altra volta, mentre i libici ordinano alla nave umanitaria di supportare il mercantile nel recupero dei dispersi e, una volta raggiunta l’area, di trasbordare tutti sulla Viking. Che però è a un giorno di navigazione e chiede agli italiani di ingaggiare altre navi: tutto inutile. Intanto è passata la mezzanotte.
Voltafaccia e respingimento – In base alla ricostruzione, la notte trascorre nel silenzio delle autorità. Alarm Phone le diffida per i rischi del loro disimpegno e insieme alla Ocean Viking ribadisce al capitano della Bobic le implicazioni di un eventuale sbarco in Libia dei naufraghi, viste le convenzioni internazionali sul soccorso in mare che impediscono di considerare il Paese “place of safety” dove siano garantiti i diritti umani: si tratterebbe di respingimento illegittimo come ormai chiarito da diverse sentenze anche in Italia. All’alba, mentre Alarm Phone stabilisce un contatto con i 75 ancora dispersi condividendone la posizione, le comunicazioni con la Bobic si diradano. Nondimeno, il capitano chiede conferma del trasbordo alla Viking e nella tarda mattinata comunica che i 75 sono stati tratti in salvo da un’imbarcazione di supporto alle piattaforme petrolifere. A quel punto la Bobic vira a sud, probabilmente in seguito a comunicazioni che ad oggi non conosciamo. Alle 14.00 il capitano ribadisce alle ong di non voler portare le persone in Libia. Ma un attimo dopo, al telefono coi libici, la Viking sente confermare l’assegnazione del porto di Al Zawiyah e, nonostante le precedente richiesta di supporto, le viene detto che le ong non hanno il diritto di rivolgersi alle autorità. Ambiguo il ruolo dello stato di bandiera del mercantile, che prima suggerisce di scrivere alle autorità che i 35 non saranno riportati in Libia, poi rivela che il centro di Roma e quello libico si sono coordinati per farli sbarcare il prima possibile, probabilmente già a cose fatte, col la consegna a una motovedetta libica già nel primo pomeriggio e in serata la conferma dello sbarco: tutti portati al centro di detenzione di al-Mabani a Tripoli, inaccessibile all’agenzia Onu per i rifugiati e già in mano ad Abdullah Trabelsi, fratello del ministro dell’Interno di Tripoli Emad Trabelsi, ospite la settimana scorsa a Roma del titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che ne elogia la “gestione dei flussi migratori in una cornice di rispetto dei diritti umani”.
Gli altri 75 verso l’Italia – La fase finale del soccorso, tra il 26 e il 29 maggio, è segnata da una gestione dei porti di sbarco che SOS Mediterranée definisce discriminatoria e inutilmente afflittiva. Mentre al mercantile italiano Eco One, che aveva soccorso 26 persone delle 75 ancora alla deriva, viene assegnata Lampedusa, alla Ocean Viking, con a bordo le ultime 53 persone, Roma impone il porto di Livorno, citando il decreto Piantedosi del 2023 e ignorando ogni segnalazione urgente sulla presenza di minori, anche sotto i 5 anni, e le gravi condizioni mediche a bordo: molti presentano ustioni da carburante, ferite, segni di malnutrizione e un forte stress psicologico per aver assistito alla morte di altri compagni. La Viking è costretta a chiedere un’evacuazione medica urgente al largo di Lampedusa e, su ordine del Tribunale per i Minorenni di Palermo, vanno fatti sbarcare subito anche i 31 minori. Ma nonostante i rischi, l’IMRCC non autorizza l’approdo, ordinando di procedere con un trasbordo in mare aperto, che avviene la mattina del 27 maggio al largo di Porto Empedocle. Erano più di cento: 35 sono finiti in Libia, alcuni, forse 5, in mare. Altri sulla Eco One e altri ancora sulla Ocean Viking, dove alla fine ne restano 13, ai quali si potrebbe risparmiare almeno la possibile separazione da amici e familiari e ulteriori giorni di viaggio. Invece la loro odissea si conclude solo la sera del 29 maggio con l’arrivo al porto di Livorno, che secondo SOS Mediterranée è stato assegnato in violazione del diritto internazionale che imporrebbe la minima deviazione e uno sbarco rapido.