Giustizia

Ciro Grillo condannato, le motivazioni dei giudici: “Lui e i suoi amici hanno agito con brutalità, la vittima è attendibile”

Le 72 pagine del collegio che ha giudicato il figlio di Beppe Grillo e gli altri imputati Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia per l'accusa di violenza sessuale di gruppo che sarebbe avvenuta in Sardegna. "La persona offesa non ha mai cambiato versione"

Un gruppo “brutale”, “coeso fin dal principio”, che “ha agito in un contesto predatorio e prevaricatorio non tenendo in considerazione alcuna lo stato di fragilità in cui versava la ragazza”. I giudici di Tempio Pausania descrivono così Ciro Grillo e gli amici, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria, condannati per lo stupro di gruppo avvenuto nell’estate del […]

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Un gruppo “brutale”, “coeso fin dal principio”, che “ha agito in un contesto predatorio e prevaricatorio non tenendo in considerazione alcuna lo stato di fragilità in cui versava la ragazza”. I giudici di Tempio Pausania descrivono così Ciro Grillo e gli amici, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria, condannati per lo stupro di gruppo avvenuto nell’estate del 2019 a Porto Cervo, insieme al quarto componente della comitiva, Francesco Corsiglia, che non avrebbe partecipato alla violenza di gruppo ma è comunque stato ritenuto colpevole di una prima violenza sessuale ai danni della ragazza, una coetanea che con loro aveva passato una serata al Billionaire: “La vittima è pienamente attendibile – secondo i magistrati – le sua dichiarazioni hanno trovato infatti significativi riscontri”.

In queste 72 pagine la corte presieduta da Marco Contu cristallizza le motivazioni che hanno portato alla condanna dei quattro ragazzi: otto anni di carcere per il figlio di Beppe Grillo, per Capitta e Lauria; sei anni e mezzo per Corsiglia: “La violenza richiesta dall’art. 609 bis del codice penale non deve avere necessariamente carattere assoluto, tale da annullare totalmente la volontà della vittima – scrivono i giudici – ma può produrre anche solo un effetto di coartazione allorchè la persona offesa si sia concessa in una particolare situazione tale da influire negativamente sul suo processo mentale di libera determinazione, poiché un siffatto consenso non è libero consenso bensì consenso coatto”.

La ricostruzione dei giudici mette in luce la “coerenza” dei vari testimoni che hanno corroborato il racconto di Silvia (nome di fantasia), studentessa italo-scandinava. Su tutti: i resoconti di tre amici; la confessione fatta all’insegnante di kitesurf; il profondo turbamento rilevato dalla madre, dal padre e dalla sorella; le testimonianze della dottoressa che per per prima la visitò alla clinica Mangiagalli di Milano, rilevando ecchimosi agli arti, come se qualcuno l’avesse costretta con la forza delle mani; la testimonianza, fondamentale, di Roberta (nome di fantasia anche questo), l’amica che con lei passò la nottata nell’appartamento del resort Pevero, adiacente a quello della famiglia Grillo.

Roberta, dopo aver rifiutato le avances di tutti i ragazzi, si mise a dormire sul divano. Mentre dormiva, Grillo e gli altri si scattarono foto con i genitali sul suo volto. Un episodio qualificato dalla sentenza come violenza sessuale: “La vittima di questo episodio ha, poi, gradualmente acquisito consapevolezza della situazione, definendo quanto da lei subito come esplicazione di un atto di dominio degli imputati, volto ad umiliarla come donna. Con tali dichiarazioni Roberta ha perfettamente chiarito i connotati sessualmente predatori e affatto scherzosi delle condotte degli imputati, gravemente invasive della propria sfera di autodeterminazione sessuale, inevitabilmente violata a seguito della scoperta di tali fotografie. Non può, difatti, ad avviso del collegio, essersi trattato di un mero gioco, come sostenuto dalla difesa, in quanto in un gioco tutti i partecipanti conoscono e accettano le relative regole mentre, nel caso di specie, Roberta si trova va in stato di incoscienza, sicché non solo non poteva conoscere le regole di quel gioco ma non vi avrebbe mai voluto aderire e partecipare”.

Per i giudici, “è possibile evincere il clima predatorio presente in quella casa nonché la condotta violenta ed insidiosa di tutti i partecipanti, inequivocabilmente diretta alla imposizione di atti sessuali di gruppo nei confronti di una ragazza incosciente, nel medesimo contesto nel quale si stava consumando un’ulteriore di violenza sessuale alla quale gli stessi stavano assistendo”. Secondo la ricostruzione del tribunale, dopo che Corsiglia si era appartato con Silvia, “è sorta in Grillo, come pure negli altri ragazzi, l’idea che anche loro avrebbero dovuto ricavare qualcosa dalla serata”. Dapprima da Roberta, “unica in quel momento disponibile”, attraverso la captazione delle immagini e, “subito dopo”, da Silvia. “Il video e le foto rappresentano, dunque, espressione di recupero del dominio perduto e di un clima affatto ludico, bensì esplicitamente predatorio e violento, posto in essere nel medesimo contesto spazio temporale di un· altra violenza sessuale perpetrata dall’amico (Corsiglia) nella stanza a fianco e prima del compimento dell’ulteriore violenza del gruppo (composto da Grillo, Lauria e Capitta) su Silvia”. E ancora: “Il connotato predatorio, sprezzante e svilente nei confronti della ragazza lo si evince anche dal lancio di caramelle sul corpo di una incosciente Rebecca, quale ulteriore atto di spregio ed umiliazione nei suoi confronti”.