
Tra di loro c'eravamo anche noi di Avs, come rappresentanti delle istituzioni e come cittadini antifascisti che credono in un futuro diverso rispetto a questa deriva autoritaria
Dopo Leoncavallo e Askatasuna, il governo ha deciso che il vero nemico del Paese sono i centri sociali. Non la precarietà, non i salari da fame, non le disuguaglianze. Lo sgombero di corso Regina 47 a Torino non si affianca solo a quello recente del Leoncavallo, ma prelude, come annunciato da Piantedosi stesso, ad altre azioni nei confronti degli spazi sociali romani e non solo. È una logica repressiva, da campagna elettorale permanente, innanzitutto per tentare di spegnere e piegare le realtà che contestano più duramente le politiche di questo governo.
Con l’atto di forza spettacolare in quella data simbolica che è il 18 dicembre, l’intero quartiere di Vanchiglia è stato svegliato all’alba da un’operazione di polizia giudiziaria che ha costretto 500 famiglie di bambini, che sarebbero dovuti andare a scuola, a restare fuori. Una primaria e una scuola dell’infanzia chiuse all’improvviso, a pochi giorni dalle feste natalizie.
Il governo Meloni e il Ministro Piantedosi hanno ancora una volta usato Torino come laboratorio di repressione e lo hanno fatto militarizzando un quartiere e sospendendo il diritto allo studio e i servizi per l’infanzia. Ma soprattutto, hanno compiuto un atto ostile nei confronti della città, entrando a gamba tesa in un processo virtuoso che vedeva la collaborazione tra Comune, comitato promotore del patto e collettivo del centro sociale.
Un patto nato dal desiderio di prendersi cura collettivamente di uno spazio che fa parte dell’identità di Torino. Nato dalla scelta matura di dialogare e collaborare con i movimenti, anche con quelli più radicali. E dalla nascita di quel patto, la destra torinese e nazionale non ha mai smesso di tentare di sabotarlo, fino all’esito drammatico di queste giornate.
Questo è un governo che lavora da un lato a una vera e propria persecuzione di ogni voce critica e di ogni manifestazione di dissenso. Lo fa con un impianto normativo iper punitivo e illiberale, culminato nel dl Sicurezza. Lo fa costruendo e inventando il nemico perfetto nelle sue mille forme: il terrorista climatico, il fanatico pro Pal, il migrante invasore, la sinistra che siede in Parlamento con la kefiah ma copre i facinorosi, i magistrati rossi, perfino gli intellettuali, i giornalisti, i direttori di musei non fedeli alla linea meloniana.
Tuttavia, esiste un disegno che non risponde solo alla smania di sorvegliare e punire. La destra ha bisogno di un nemico per coprire le sue contraddizioni, per distogliere l’attenzione dal fatto che, mentre manganella studenti e sgombera spazi sociali, litiga su come peggiorare la Fornero o lasciarla com’è, cioè ingiusta. Ha apparecchiato una manovra di austerità per finanziare una corsa al riarmo pagata da lavoratori e pensionati, mentre 5,7 milioni di persone vivono in povertà assoluta: il 9,8% della popolazione. Una legge che si veste di stabilità per mascherare il taglio ai ministeri, agli enti locali e ai servizi, i salari prosciugati e le risorse pubbliche consegnate alle rendite di guerra e fossili: una scelta di classe e un’adesione piena all’economia di guerra, con le spese militari incrementate di un miliardo.
Inoltre, uno degli obiettivi di questa ultradestra autoritaria, che sogna una democratura ipercentralista, sono anche le città che sperimentano modelli progressisti, avanzati, solidali, e che ovviamente non sono amministrate dai loro. Torino medaglia d’oro della Resistenza è l’esempio perfetto di tutto ciò. Il patto di collaborazione su Askatasuna una specie di kriptonite per una destra che dipinge le occupazioni come la piaga del nostro tempo. Una città che addirittura lavora a un’evoluzione di qualcosa che nasce come irregolare è l’avamposto dell’eresia.
Per questo credo che la risposta della città, della cittadinanza ma anche dell’amministrazione comunale, sia stata all’altezza. Sabato 20, migliaia di cittadini e cittadine si sono mobilitati per difendere quello spazio comune dalla repressione che il governo vuol far passare per tutela della sicurezza pubblica. Tra di loro c’eravamo anche noi di Alleanza Verdi Sinistra, non solo come rappresentanti delle istituzioni, ma anche come cittadini antifascisti che credono in un futuro diverso rispetto alla deriva autoritaria in cui ci sta trascinando il governo. Eravamo tutti in piazza: parlamentari, assessori, consiglieri regionali, comunali, di circoscrizione, militanti.
Le voci della destra si sono levate per far cadere qualche testa. Alcuni – anche fra le file della maggioranza cittadina – ci stanno chiedendo conto di quella presenza. Ma quella presenza sta nel nostro Dna. Perché siamo persone che, in epoche diverse e facendo parte di generazioni diverse, hanno attraversato e animato i movimenti sempre. E, soprattutto, stiamo dalla parte della Costituzione, agiamo alla luce del sole, con trasparenza e coerenza. A differenza di certi figuri che, mentre chiedono le dimissioni del nostro assessore Jacopo Rosatelli, partecipano a missioni oscure in Donbass a sostegno di regimi autoritari e strizzano più di un occhio a movimenti eversivi e apertamente neofascisti.
Offriamo copertura politica alle violenze? Chi lo afferma è intellettualmente disonesto. Queste sono state giornate dure, complicate. Per molti di noi anche il tuffo in un passato che non abbiamo voglia di rivivere, fatto di rigurgiti repressivi e conflitti esacerbati. Ma la realtà è che, nonostante alcuni momenti di disordine e tensione, proprio la nostra presenza al corteo ha aiutato a portarlo a conclusione senza incidenti gravi, altro che la guerriglia urbana che le testate conservatrici continuano a descrivere. E ciò è avvenuto nonostante gli idranti che ci hanno lavati mentre percorrevamo via Vanchiglia pacificamente e i lacrimogeni lanciati in presenza di bambini e vicino agli ospedali. Nonostante un clima di tensione e paura alimentato dallo sgombero e dalla militarizzazione del quartiere di Vanchiglia, voluta dal governo. Una campagna truce e repressiva, che colpisce chi non si allinea, chi costruisce alternative, chi dà voce a chi non ce l’ha.
Io credo che la risposta di Torino sia stata ammirevole e debba darci speranza. Abbiamo urlato a gran voce che noi non ci stiamo: corso Regina 47 è e deve restare un bene comune. E difendere gli spazi di libertà, cultura e mutualismo non è solo un dovere politico, è una necessità democratica. Non lasciateci soli, non lasciateci sole.